Venerdì 26 Aprile 2024

Baseball e sponsor, crolla il tabù Anche i miti ora sono in vendita

Per la prima volta marchi commerciali sulle divise iconiche di Yankees e Red Sox, Cubs e Dodgers

Baseball e sponsor, crolla il tabù  Anche i miti ora sono in vendita

Baseball e sponsor, crolla il tabù Anche i miti ora sono in vendita

di Doriano Rabotti

Anche i miti incassano. Non che nel baseball di soldi ne girassero pochi neanche prima, a dire il vero: in Italia non ce ne accorgiamo perché non è mai scattata definitivamente la scintilla popolare nei confronti di uno sport che in ogni partita, in ogni inning, in ogni pallina lanciata o colpita avrebbe mille storie da raccontare, a saperle leggere o ascoltare. E dire che di Italia ce ne sarebbe tantissima, partendo dal campionissimo Joe DiMaggio, l’uomo che ha sposato Marilyn Monroe ed è finito dentro una canzone di Simon&Garfunkel, per arrivare a Mike Piazza, detentore del record di fuoricampo battuti da un catcher nella Mlb, oggi ct degli azzurri reduci dalla bella figura nel World Classic con un gruppo talmente imbottito di oriundi che Mancini spostati.

Eppure fa comunque una certa impressione pensare che nella Major League che inizia oggi, oltre ad alcune variazioni di regole sportive, cadrà definitivamente un tabù: le maglie potranno avere sponsor. Per carità, siamo tutti troppo vecchi per non capire che gli interessi economici hanno più pazienza di noi, sanno che tanto vinceranno loro.

Però il baseball, soprattutto quello del maggior campionato del mondo, fino a oggi era qualcosa di diverso. Non certo impermeabile al fascino dei soldi, se si pensa che lo ’svincolato’ Bryce Harper ha ottenuto un contratto da quasi 290 milioni di euro per 13 anni con i Philadelphia Phillies, fino al 2032.

No, il problema sono i simboli, non la cassa.

Perché il baseball è uno sport che vive in un mondo tutto suo, alimentato nell’immaginario collettivo da decine di film che hanno avuto grande successo anche in Italia, da Gary Cooper e Robert Redford a tutti quelli con Kevin Costner (l’onirico L’uomo dei sogni, ma anche Bull Durham) all’ultimo e più famoso, il Moneyball con Brad Pitt al quale poi si sono ispirati dirigenti di tanti altri sport, calcio compreso. Ci sono le frasi di Yogi Berra (’Non è finita finché non è finita’ è diventata anche una canzone di Lenny Kravitz) e i romanzi di Don De Lillo, a rendere eterna la cifra epica di quello che Walt Whitman definì ’Lo sport americano’, e in effetti la storia ha dato ragione al poeta-bardo del paese a stelle e strisce. Con il jazz e la costituzione, gli americani inseriscono il baseball in una sorta di trinità che rappresenta l’essenza del loro paese.

Eppure è stata solo questione di tempo, anche lo sport di squadra con il maggior numero di regole (cosa che ne frena il successo qui da noi) si è arreso.

Ci saranno marchi commerciali, le multinazionali pagheranno cifre pazzesche per mostrarli sulle strane divise di lanciatori e battitori, e sicuramente qualcuno storcerà il naso. Ma nessun logo di bibite, macchine, supermercati o cibo per cani potrà cambiare una cosa: gli Yankees di New York resteranno sempre gli Yankees, con la loro storia e i loro campioni immortali. I calzini rossi di Boston resteranno sempre i Red Sox, i Cubs di Chicago che hanno sconfitto dopo 108 anni la maledizione della capra resteranno i Cubs, i Dodgers che nel tempo si sono spostati da Brooklyn a Los Angeles resteranno i Dodgers.

Lo sanno anche gli sponsor.

E va benissimo anche a loro, fidatevi.