Mercoledì 24 Aprile 2024

"Così smontiamo il ponte Morandi"

Paolo Cremonini della Fagioli di Reggio Emilia è il tecnico che ha raddrizzato la Costa Concordia. Ora lavora nel cantiere di Genova. "Tanta ingegneria e concentrazione, un omaggio alle 43 vittime e alle loro famiglie"

L'ingegner Paolo Cremonini

L'ingegner Paolo Cremonini

Genova, 11 febbraio 2019 - E' l'uomo delle imprese spettacolari. Ha raddrizzato la Costa Concordia, sta facendo a pezzi quel che resta del ponte Morandi. C’è un pezzo d’Emilia, nel cantiere che è diventato uno show mondiale. Paolo Cremonini, 59 anni, ingegnere genovese, reggiano acquisito, è vicepresidente della Fagioli di Sant’Ilario d’Enza (Reggio) che a Genova lavora in cordata con Omini, Ipe Progetti e Ireos. Sabato pomeriggio si è concluso il primo atto della demolizione, una trave tampone del moncone ovest è stata tagliata e posata a terra grazie a un complesso sistema di martinetti idraulici. Una ‘discesa’ dal ritmo quasi impercettibile, per la delusione di obiettivi e telecamere spianate. Ma Cremonini conosce bene il valore del silenzio e della lentezza, è il volto nascosto di ogni operazione che ha a che fare con i giganti. C’è già passato per la Concordia, nel 2013, 27 ore di fila nella cabina di comando, «container a tre metri dalla prua, eravamo assolutamente vicini e anche un po’ esposti», come ha raccontato una volta, con una tranquillità che impressiona. Ingegnere, avete smontato i primi 36 metri di ponte, peso superiore alle 900 tonnellate. "Bisogna agire con grandissima cautela, continuare a verificare i valori, una delle tantissime cartine di tornasole per capire se quel che si sta facendo è corretto". Timori che qualcosa potesse andare storto? "Tutte le operazioni che facciamo come Fagioli sono ad alto rischio, nessuna è uguale all’altra. Montiamo ponti, stadi, spostiamo navi per le Marine militari... Abbiamo sempre a che fare con cose estremamente complesse e pesanti. Servono tanta ingegneria e altrettanta concentrazione". Albe, giorni, notti. Sempre in cabina di comando? "Naturalmente bisogna stare in cantiere, gli uffici sono sotto il ponte. Due-tre ore di riposo, le tende no, ci sono alloggi". Prossime tappe? "Altre cinque travi da smontare ma anche sei pile. In realtà sono otto, ma per le prime due si useranno le pinze demolitrici". Quanto tempo ci vorrà? "Verso metà luglio dovrebbe essere completato il fronte di ponente. Ma, mano a mano che avanzeranno smontaggio e demolizione, verranno consegnate aree alle ditte che dovranno costruire il ponte. Così i lavori potranno iniziare in parallelo". Poi c’è il tormentato moncone est. "Avevamo studiato come poter smontare anche quelle due pile, ma la procedura richiedeva costi completamente differenti e quasi un anno di lavoro. Invece c’è bisogno di consegnare un nuovo ponte a Genova e all’Italia il più presto possibile. Così si è scelto l’esplosivo". Da dove si comincia? "Dovranno essere demolite le case sotto il Morandi. Poi con le microcariche si farà crollare il ponte. Pensiamo di finire entro luglio". A Genova sono morte 43 persone: ragazzi, padri, famiglie sterminate. Quando lei lavora là sotto, quanto conta il pensiero delle vittime? "Per me ha un valore enorme. Ogni volta, dopo un disastro, la reazione emotiva è fortissima. Poi interviene il mio carattere, il desiderio di dare una mano. E bisogna studiare tanto, per capire come fare". In effetti è inaudito che un ponte crolli. "Penso anche alla Concordia. Sono situazioni che non si risolvono facilmente. Invece bisogna uscirne alla svelta, dare una mano al Paese. Sono un accesissimo sostenitore delle nostre qualità, per me eccellenti. Invece siamo esterofili, non le sappiamo valorizzare". Lo studio che ci ha messo è anche un omaggio alle vittime? "Assolutamente. È stato lo stesso per la nave, praticamente ho vissuto due anni e mezzo a bordo. È anche un modo per rendere onore a chi ingiustamente non c’è più e alle famiglie. Bisogna uscirne con dignità". Ingegnere, lei che attraversa le tragedie d’Italia: perché non riusciamo a evitare disastri evitabili? "Le cause sono tante. Quella più diretta è la perdita di valori. Fare le cose bene perché è giusto e utile per la comunità non è di moda. Anche perché richiede sacrificio e altruismo".