Mercoledì 24 Aprile 2024

Marco Zoro, il primo in campo a fermarsi contro l’odio: atleta-simbolo

Marco Zoro, Imprenditore e dirigente sportivo

Marco Zoro, Imprenditore e dirigente sportivo

Rifarei all’infinito quel gesto, quelle dei tifosi erano offese inaccettabili: il razzismo si vince con l’educazione e l’impegno di tutti

NATO A Abidjan (Costa d’Avorio) ETÀ: 36 anni SQUADRA: ex difensore di Salernitana, Messina, Benfica, Angers, Chania e Asteras RUOLO: Imprenditore e dirigente sportivo

È stato il primo in Serie A a squarciare il velo dell’ipocrisia, a rompere il silenzio con un gesto perentorio in risposta ad offese odiose che non dovrebbero avere cittadinanza nel calcio, così come in qualsiasi altro frangente. Ed è per questo che chiudiamo questa rassegna proprio con lui. Marco Zoro, ex difensore della Nazionale della Costa d’Avorio, si rifiutò di continuare a giocare durante Messina-Inter del 27 novembre 2005. Dalla curva nerazzurra gli piovevano insulti razzisti, lui a un certo punto prese in mano il pallone, e solo dopo aver parlato a lungo con gli avversari si convinse a non abbandonare il terreno di gioco, e a proseguire una partita che non aveva più alcun senso, in quel clima. Le immagini della sua protesta hanno fatto il giro del mondo, ma la paura è che poi non troppo sia cambiato, in tutti questi anni. Zoro, lei ha girato il mondo grazie al pallone. La ricordiamo a lungo in Italia a Salerno e a Messina, poi in Portogallo e anche in Grecia. Ora cosa fa esattamente? Il suo presente e il suo futuro sono nel calcio, e dove? «Mi trovo in Costa d’Avorio, il mio Paese, dove mi sto occupando di affari. E qui ho realizzato un’accademia di calcio per i giovani su una superficie di dieci ettari. Seguiamo ragazzi dai dodici ai quattordici anni. È un progetto avviato da tre anni e il nostro obiettivo, che prevediamo di centrare a breve con questo gruppo, è di giocare in diverse competizioni all’estero. Più in là, vorremmo dar vita a un club della massima serie, qui in Costa d’Avorio, per poi ‘conquistare’ l’Africa col nostro calcio». Da giovanissimo, fu il primo a protestare apertamente in campo per il tifo razzista nei suoi confronti. Era Messina-Inter del 2005. Prese il pallone e voleva smettere di giocare. Poi gli altri giocatori la convinsero a proseguire. Rifarebbe oggi quel gesto o è pentito? «Pentito mai. È una cosa che rifarei all’infinito, finché la gente non capisce la gravità di questi atteggiamenti. Bisognava far capire a tutti che non si poteva proprio continuare in quella situazione». È cambiato qualcosa nel calcio secondo lei? Purtroppo registriamo ancora diversi episodi di razzismo fuori e dentro gli stadi. Anche in Italia: basta vedere quello che è successo a San Siro con i “buu” razzisti a Koulibaly. «Purtroppo credo che non sia cambiato niente, anche se sono passati più di tredici anni da quel fatto. Anzi, credo che la situazione sia peggiorata, perché nessuno fa davvero niente per migliorare lo stato delle cose». Anche in Grecia, fu vittima pochi anni fa di un episodio di razzismo. Le tirarono anche oggetti in campo a Salonicco. «Confermo. Purtroppo l’ignoranza continua a guadagnare spazi in questa società. In Grecia poi nel mondo del calcio ho avuto a che fare con una certa assenza di regole, posso dire che non è stata una bella esperienza quella di essere bersagliato da offese, e non solo”. Ha vissuto in Italia tanti anni. Qui come calciatore è cresciuto tanto. Che ricordo ha della nostra nazione? «L’Italia è un Paese fantastico, sia per un giocatore professionista, sia per chiunque ci viva. C’era davvero benessere, sotto tutti i punti di vista, quando ero lì. Purtroppo, ma è qualcosa che riguarda solo poche persone, c’è chi non ha proprio i valori giusti per convivere civilmente con gli altri”. Come è stato arrivare qui a 16 anni lasciando il suo Paese in Africa? «Sono arrivato in Italia grazie a Raffaele Novelli, che all’epoca era osservatore della Salernitana. Devo ringraziarlo tanto. Mi ha visto giocare letteralmente in mezzo alla strada in Costa d’Avorio e mi ha portato in Italia, credendo in me”. Che cosa cambierebbe nel calcio, anche per consentire ai più giovani di avere un atteggiamento più giusto? E cosa direbbe ai tifosi? «Il calcio è bellissimo ma è anche molto difficile da cambiare sotto certi aspetti. Ecco perché credo che solo con l’educazione di tutti si possa fare qualcosa di importante e positivo, partendo dalle basi. E questo riguarda sia i giocatori, che devono avere una buona formazione anche dal punto di vista umano dal settore giovanile, sia i tifosi, che devono essere i primi a mettere in atto il fair play. Serve la collaborazione e l’impegno di tutti». Segue ancora il nostro calcio? Qual è l’attaccante più forte che ha dovuto mai marcare? «Seguo sempre il campionato di Serie A, ci mancherebbe. È un torneo di qualità e si sta riprendendo rispetto agli altri campionati. Tra gli attaccanti che ho incontrato, il più difficile da affrontare è stato Iaquinta. Davvero molto forte”.