Venerdì 26 Aprile 2024

Governo, piano rimpatri: "Un centro in ogni regione". Coro di no dai sindaci leghisti

Salvini dovrà gestire una macchina complessa che costa 4,3 miliardi Migranti, Salvini: "Basta con la Sicilia campo profughi d'Europa. Più rimpatri"

Migranti in una foto d'archivio (Ansa)

Migranti in una foto d'archivio (Ansa)

Roma, 4 giugno 2018 - Una babele. Una macchina che costa molto (4,3 miliardi tra accoglienza, che da sola assorbe 3,4 miliardi; ricerca e soccorso in mare; istruzione e assistenza sanitaria) e produce poco dilatando i tempi di definizione delle richieste di asilo e poi, grazie anche all’Europa che ci ha scaricato il problema e non garantisce se non in parte neanche le relocation concordate, non permette il rimpatrio dei non aventi diritto per i quali c’è il collo di bottiglia degli accordi con i Paesi di provenienza. Che con molti Paesi ormai ci sono ma che vengono attuati con difficoltà e a caro prezzo (tra in 4mila e i 5.800 euro per ogni respingimento, a seconda delle stime).

EPPURE farla funzionare meglio è essenziale per la credibilità di Matteo Salvini, che sulla lotta all’immigrazione clandestina ha investito gran parte del suo capitale politico. Il nuovo ministro dell’Interno ha allo studio una serie di norme, tra le quali l’effettiva implementazione della creazione dei Centri permanenti di rimpatrio (Cpr) previsti dalla legge 46 del 2017, la Minniti/Orlando. La legge 46 ne prevedeva venti (con una capienza elevata dai 387 posti dei Cie fino a 1.600) ma per ora ne sono attivi solo quattro (Brindisi, Roma, Caltanissetta e Torino). Salvini vorrebbe aprirli rapidamente e anche aumentarne la capienza ma dovrà scontrarsi, così come è capitato a Minniti, con il no o la forte resistenza delle regioni (comprese Lombardia, Liguria e Veneto guidate dal centrodestra).

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AMMESSO che riesca a ottenerne l’apertura, c’è poi il problema del tempo: quanto mantenervi gli immigrati in via di espulsione se questi, come accade nella metà dei casi, rifiutano di farsi identificare. Terzo punto chiave la semplificazione della macchina dell’accoglienza che oggi prevede hotspot e Cara. Gli hotspot sono luoghi nei quali si svolgono tutte le operazioni di prima assistenza, identificazione e foto-segnalamento: sono a Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto, ai quali si aggiungono hotspot ‘volanti’ nei porti di Messina e Palermo. Ci sono poi i Cara, destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo per il periodo necessario alla loro identificazione e/o all’esame della domanda d’asilo. oggi si trovano a Isola Capo Rizzuto in Calabria, Gradisca d’Isonzo (vicino Gorizia e che doveva diventare un Cpr), Caltanissetta, Foggia, Brindisi, Bari, Mineo e Monastir, a 15 chilometri da Cagliari.

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PER RENDERE più rapido il sistema, la legge Minniti/Orlando ha previsto una serie di norme per velocizzare il processo di definizione dello status di richiedente asilo. Tra queste l’istituzione, nel le 26 Corti d’appello, di sezioni specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale; l’abolizione dell’udienza in caso di richiesta di protezione internazionale (il colloquio alla Commissione territoriale diviene lo strumento di valutazione usato dal giudice di primo grado), l’abolizione del secondo grado di giudizio (si può ricorrere solo in Cassazione).

LE NORME sui processi hanno ha iniziato lentamente a far sentire i loro effetti, ma per adesso hanno inciso poco sui numeri. Molto di più hanno fatto la stretta sulle Ong che operano in mare e gli accordo con i libici, che, soprattutto i secondi, han fatto calare gli arrivi nei primi 6 mesi del 2018 a 13.430, -77,7% rispetto allo stesso periodo del 2018. Ma Salvini vuole fare di meglio ad esempio vietando l’attracco alle navi delle Ong se non in casi estremi: una strada resa impervia dagli accordi internazionali sul soccorso in mare.