Migranti, l'altolà dei vescovi: "Non sono un problema di polizia"

Intervista al presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti. La Cei è pronta a collaborare con il Governo Lega-5S, ma avverte: "Nessuna uscita dalla Europa". Crisi delle vocazioni? "Scrutare i segni dei tempi"

Il cardinale Bassetti e papa Francesco (Foto repertorio Ansa)

Il cardinale Bassetti e papa Francesco (Foto repertorio Ansa)

Roma, 2 giugno 2018 -  Piuttosto che un contributo specifico dei cattolici impegnati in politica il cardinale Gualtiero Bassetti auspica uno slancio dell’intera rete laicale “al servizio del Paese”. Anche ora che a Palazzo Chigi si è insediato un esecutivo giallo-verde a cui il presidente della Conferenza episcopale italiana, in questa intervista esclusiva a Qn, offre “leale collaborazione”. Due, però, i piantati dalla Cei: l’Italia non esca dalla Unione europea; i flussi migratori non siano ridotti a “una mera questione di polizia”.

Presidente, dopo tre mesi di stallo istituzionale, si è arrivati alla formazione del governo Lega-5Stelle. Quale è il suo pensiero su questo esecutivo e sul nuovo quadro politico italiano?

“Innanzitutto, formulo i miei auguri al presidente del Consiglio, il professore Giuseppe Conte, e a tutti i ministri, ai quali assicuro le mie preghiere. Al Presidente della Repubblica rivolto un particolare ringraziamento per come ha gestito questi mesi difficili. Come Chiesa offriamo la nostra leale collaborazione sui temi etici e sociali. La vita, la famiglia, i giovani e il lavoro: sono alcuni degli snodi cruciali per il futuro del nostro Paese. Ad essi bisogna fornire delle risposte concrete, giuste e nell’interesse di tutti. I temi della dottrina sociale cattolica, in particolare quelli richiamati dalla Laudato si’ di papa Francesco, offrono, a mio avviso, un orizzonte indispensabile per la realizzazione del bene comune”.

Durante l’assemblea della Conferenza episcopale italiana lei ha sottolineato la vocazione europeista dell’Italia: perché è così importante restare in Europa?

“Ritengo da sempre, non da ora, che la prospettiva europea è un elemento ineludibile dell’Italia del passato, del presente e del futuro. L’Europa è parte integrante della nostra cultura, in particolare di quella cristiana: si pensi, per esempio, alla fitta trama di monasteri francescani e benedettini che hanno costruito un’Europa della fede, della cultura e del lavoro. Oppure al ricco magistero pontificio: da Pio II a Francesco”.

Non crede che l’Unione abbia bisogno di riformarsi?

“Quello che oggi serve, l’ho detto più volte, è una nuova Europa più solidale e meno egoista; più unita e meno tecnocratica. Occorre che riscopra, come diceva Montini, la sua anima profonda. L’auspicio, dunque, non è uscire dall’Europa ma esattamente l’opposto: più Europa nel solco della carità, della fraternità e della giustizia”.

Nel Paese, però, è diffusa la percezione di essere stati lasciati soli a gestire i flussi migratori da un’Unione europea integerrima nell’imporre il rigore dei conti pubblici. Come pensa che vada trattato il fenomeno dei migranti?

“Con grande carità e altrettanta responsabilità! Non si possono assolutamente lasciare soli i Paesi di sbarco come l’Italia, perché è un fenomeno che riguarda l’intera Europa e che va risolto in ambito internazionale con la cooperazione di tutti”.

Il rischio sempre in agguato è che la questione immigrazione sia gestita solo in termini di sicurezza.

“Non si può pensare di risolvere i flussi migratori riducendoli ad una mera questione di polizia o addirittura di spesa pubblica. C’è molto di più. C’è in gioco, prima di tutto, la salvaguardia della dignità umana che è sempre incalpestabile e inalienabile. E poi c’è la grande questione dell’integrazione nelle società odierne, che sono inevitabilmente multietniche. Due grandi sfide da cogliere come delle opportunità e anche come termometro della nostra fede. La cultura dell’incontro, espressa magistralmente dal capitolo 25 del Vangelo di Matteo, non può essere confusa, in alcun modo, con la ‘cultura della paura’ o, peggio, con i preoccupanti rigurgiti della xenofobia”.

In questa fase politica che apporto può arrivare dai cattolici impegnati in politica?

“Il contributo non deve arrivare tanto dai ‘cattolici impegnati in politica’, ma da tutta quella vasta rete del laicato cattolico che oggi è impegnata nell’associazionismo, nelle parrocchie, nei gruppi, nei movimenti e nel sociale. C’è un mondo vastissimo, vivo e ricco di esperienze, che può dare, in una forma nuova, diversa dal passato, un contributo enorme al Paese. La testimonianza è fondamentale, ma bisogna andare oltre. Serve coraggio e creatività. Come ci insegna Francesco, anche in questo campo, è forse giunto il momento di avviare dei processi, forse anche lunghi, che non mirino ad occupare spazi di potere ma a servire il Paese con umiltà e gratuità. Abbiamo dei grandi esempi del passato che meritano di essere sviluppati e attualizzati. Ne cito solo tre: Sturzo, De Gasperi e La Pira. Il pensatore, lo statista e il mistico”.

Il Papa ai vescovi italiani ha chiesto di riflettere sulla crisi delle vocazioni, uno sforzo ulteriore in tema di povertà e trasparenza, inoltre ha insistito sulla necessità di ridurre il numero di diocesi, oggi 226. Su quale di questi tre aspetti avete da lavorare maggiormente?

“Su tutti e tre ovviamente. Ma quello delle vocazioni è forse quello centrale. La messe è molta e gli operai sono pochi. Un tema che ci accompagna da sempre e che non si risolve con una strategia pastorale studiata a tavolino. Dobbiamo metterci in ascolto della voce di Dio con fiducia e speranza. Mai come oggi risuonano attuali le parole del Concilio: occorre ‘scrutare i segni dei tempi’ e incarnare la propria fede nella vita quotidiana. Con un’avvertenza fondamentale: alla Chiesa non serve un reclutamento di massa ma un serio ed autorevole discernimento”.