Mercoledì 24 Aprile 2024

Ricolfi: "Boom di inoccupati, ma consumi da signori"

Il sociologo: più inoccupati che lavoratori. Eppure il 75% degli italiani ha un telefonino e il 36% va in palestra o nei centri fitness

I conti in tasca

I conti in tasca

Roma, 29 ottobre 2019 - Immaginate una società dove gli inoccupati sono di più rispetto a chi lavora. Dove non si produce ricchezza, ma si consuma sempre di più: dalle cene fuori agli smartphone. Dalle spese per la cura di sé al gioco d’azzardo. Fantascienza? Macché. Si tratta dell’Italia secondo Luca Ricolfi, sociologo e professore di Analisi dei dati all’Università di Torino, nel suo ultimo libro La Società signorile di massa (Nave di Teseo).

Come spiega il paradosso: più inoccupati che occupati, ma boom di consumi opulenti? "Il consumo non dipende solo dal numero di occupati e dai redditi da lavoro, ma anche dalle rendite, dai sussidi e trasferimenti pubblici, dal debito (pubblico e privato) e, soprattutto, dalla ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti".

Tale ricchezza, però, prima o poi si eroderà visto che non si fa altro che consumare... "Direi che in un paio di decenni potremmo precipitare al livello della Grecia".

Ciò nonostante si continua ad andare in palestra, a comprare smartphone e a mangiare fuori. Insomma, aveva ragione Berlusconi: c'è la crisi, ma i ristoranti sono pieni? "Sì e no. Berlusconi descriveva una parte della società italiana: quella costituita dai cittadini di nazionalità italiana benestanti, che sono circa due su tre. A fronte di questa parte del Paese, tuttavia, vi sono le famiglie che vivono in condizione di povertà relativa o assoluta, ma soprattutto l’infrastruttura paraschiavistica della società signorile di massa".

Che cosa intende con questa espressione inquietante? "Mi riferisco a 3-4 milioni di persone che vivono in condizioni di forte subordinazione, in taluni casi, come quello dei campi di raccolta di frutta e ortaggi, ai limiti della schiavitù".

Nel frattempo i consumi rispetto agli anni Sessanta sono molto cambiati... "Enormemente. I beni e servizi che sostengono i consumi odierni sono lontani dalle necessità primarie, connessi al puro divertimento e allo svago. Dal fitness, alle palestre fino ai telefonini e alle cene al ristorante. Una novità fondamentale sono i consumi che possono dare dipendenza, o innescare percorsi autodistruttivi: consumo di droghe, gioco d’azzardo, ludopatie".

Su 800 miliardi di consumi, la spesa alimentare ne assorbe 142, il gioco d’azzardo 107. Com’è possibile? "Due i meccanismi: la crescente incapacità, non solo dei giovani, di rimandare la gratificazione e la credenza che, per avanzare socialmente, l’unica via sia tentare la fortuna’".

Cambieremo l’articolo 1 della Costituzione? "O si torna al lavoro, o è meglio dire che la Repubblica è fondata sul consumo e sul divertimento".

Ma questa iGen, la generazione degli iperconnessi, è felice? "La caratteristica distintiva, più che l’infelicità, credo sia l’insicurezza e la mancanza di autonomia: molti iGen, se gli togli i genitori e internet, sono perduti".

I consumi, poi, sono sempre più aspirazionali... "Oggi il consumo, prima ancora di essere una fonte di piacere o soddisfazione, è uno strumento identitario, per comunicare agli altri che tipo di persona sei. Un’operazione ad alto rischio, perché nella maggior parte dei casi gli altri, essendo impegnati a loro volta nella medesima impresa di autopromozione, non sono disposti a considerarti ‘fichissimo’, come vorresti tu".

L’altra faccia della medaglia sono la stagnazione e la crescita della diseguaglianza? "La stagnazione è una realtà, mentre la crescita ‘esponenziale’ della diseguaglianza è una costruzione di studiosi e media. Non c’è una diseguaglianza nella distribuzione del reddito, bensì fra anziani e giovani (a danno di questi ultimi) e nell’accesso al lavoro, divenuto un privilegio (o una condanna?) di pochi".

I centri commerciali) hanno ancora un ruolo importante? "No, perché gli acquisti si fanno sempre più su Internet e il consumo è sempre più solitario".

Le relazioni sociali, invece, per i ‘signori’ di oggi che valore hanno? "Non minore che per i signori di un tempo, anche se molte di tali relazioni ora sono sul web: l’aspirante signore non può vivere senza cortigiani, la novità è che ora li chiamiamo follower".

La società signorile di massa è un caso solo italiano? "Sì. Ma in Europa c’è qualche Paese, come la Spagna, che presto potrebbe imitarci. Se non è ancora successo è perché non ha ancora raggiunto livelli di ricchezza come i nostri".