Roma, 20 marzo 2024 – The Pittellas. Potrebbe trasformarsi in una saga degna della migliore serialità televisiva e in grado di oscurare gli stessi candidati alla presidenza della Regione Basilicata quella della famiglia Pittella. Se l’ex governatore Marcello ha rumorosamente, e un po’ maldestramente, annunciato la separazione di Azione dal centrosinistra per stringere alleanza col governatore di centrodestra di Vito Bardi, il fratello maggiore ed ex parlamentare nazionale e europeo Gianni non asseconda minimamente l’idea: "Pensavo fosse chiaro il mio pensiero e cioè che non mi riconosco nella scelta di Azione in Basilicata!", scrive infatti via social il sindaco in carica di Lauria.
Fin qui nulla di strano. Ci sta che il più posato e realizzato primogenito non si senta di assecondare le intemperanze del cadetto. Intanto però la questione sta mandando in subbuglio Azione lucana: quasi il 10% alle politiche 2022. Il vice segretario regionale, Francesco Mollica, ha annunciato ieri le dimissioni in dissenso con la scelta di alleanza col centrodestra. Ma soprattutto il duello politico interno alla famiglia Pittella potrebbe diventare politicamente determinante e ancor più avvincente per gli appassionati di gossip politico. Specie se finisse per coinvolgere nelle liste dem la terza generazione dei Pittellas: Domenico, figlio di Gianni, avvocato civilista che finora non ha seguito le orme familiari sia in politica che nella professione medica.
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La cinquantennale storia politica dei Pittella in Basilicata comincia da Lauria, comune di poco più di 10mila abitanti sulle colline del potentino. Inizia di qui la carriera di nonno Domenico, detto Mimì, unico figlio maschio del farmacista, medico e senatore socialista dal 1972 per tre legislature dopo aver fatto il pieno di preferenze nelle prime elezioni regionali del 1970. Come i Mancini in Calabria, nel Mezzogiorno d’Italia ci sono state radicate tradizioni famigliari di matrice socialista e comunista che non è lecito associare al malaffare. E, come Giacomo Mancini, Mimì Pittella è stato fiero avversario della leadership spregiudicata del segretario del Psi Bettino Craxi e fautore delle intese col Pci. Tanto da rimetterci lo scranno nel 1983 e finire espulso nel 1984. Anche perché nel frattempo è finito accusato di associazione sovversiva e partecipazione a banda armata per aver curato senza redigere referto la Br Natalia Ligas, ferita nel 1981 da un colpo di pistola durante il tentato omicidio di Antonio De Vita, avvocato difensore del pentito Patrizio Peci. Condannato a 12 anni nel pro cesso Moro-ter, esule tra Francia e Belgio per 6 anni, si costituisce e sconta parte della pena a Rebibbia finché Carlo Azeglio Ciampi non lo grazia nel 2000.
Nel frattempo Gianni ha raccolto il testimone politico, entrando in Parlamento con la vittoria ulivista del 1996. Ma è in Europa che raggiunge i maggiori successi: si impegna, studia l’inglese, tesse relazioni e arriva alla vicepresidenza del parlamento europeo e la presidenza del gruppo socialista. Tanto che la scorsa legislatura al Senato passa quasi inosservata.
“Amo Marcello, la sua ruvida determinazione, la passione cocciuta che lo anima nell’impegno professionale e politico", scrive Gianni nel suo sito a proposito del fratello. E parla a ragion veduta. Diventato governatore, Marcello è costretto alle dimissioni da un’inchiesta sulla sanità da cui esce indenne. Ma contro di lui si riversa anche il risentimento degli oppositori interni al Pd nei riguardi del radicamento famigliare in odor di clientelismo e soprattutto di agnello grigliato nelle masserie per ogni celebrazione. Di qui il passaggio ad Azione insieme a tutta la base referente. Ma se l’intemperanza sempre un po’ imbronciata di Carlo Calenda può andare a genio al cadetto Marcello, non è detto che gli elettori di tradizione progressista affezionati ai più pacati consigli e sorrisi di Gianni non sentano il bisogno della terza generazione di Domenico.