Giovedì 25 Aprile 2024

Quirinale, Pomicino: "Non basta essere donna. I franchi tiratori? Liberi pensatori"

L’ex ministro: "Draghi deve restare al suo posto. Puntiamo a una elezione rapida"

Paolo Cirino Pomicino, 82 anni, due volte ministro dal 1988 al 1992

Paolo Cirino Pomicino, 82 anni, due volte ministro dal 1988 al 1992

"I franchi tiratori ci sono sempre stati durante l’elezione del presidente della Repubblica e potrebbero essere decisivi anche questa volta. Ma non bollateli con questa espressione che sa sempre di tradimento e disprezzo, chiamateli invece ‘liberi pensatori’, cioè parlamentari senza vincolo di mandato".

Paolo Cirino Pomicino, 82 anni, ex ministro e ex cavallo di razza della Dc, conosce alla perfezione le dinamiche che fanno da sfondo alla corsa al Colle.

Partiamo dall’esternazione di Draghi: un nonno al servizio della Repubblica.

"Ne do l’interpretazione più letterale: è al servizio delle istituzioni. E, infatti, sta facendo il presidente del Consiglio dei ministri e tutti i partiti della sua larga coalizione insistono perché rimanga in quel posto fino al 2023. Punto".

Diversi partiti, di destra o di sinistra, sono apparsi contrariati dalle sue parole.

"L’inesperienza politica ha fatto commettere a Draghi un banale errore. Un’ingenuità. Quando i partiti della maggioranza dicono, in modo corale, che il governo deve continuare fino al 2023, non è possibile fare una dichiarazione apparentemente contraria o, comunque, leggermente ambigua".

Draghi è utile al Paese se non è imbalsamato al Quirinale. Lo ha detto lei, lo conferma?

"Diciamoci tutta la verità: nelle riunioni dei capi di Stato e di governo, in Europa o al G20, ci va il premier e non il presidente della Repubblica".

In campo è solo Berlusconi.

"Anche lui, dopo il primo entusiasmo, pare aver fatto un passo indietro: ha capito che a quella carica non ci sono candidati, ma è un scelta libera del Parlamento. Inoltre per lui e per gli altri vale lo stesso principio…".

Quale?

"Nessun leader politico, tranne Saragat, è mai andato al Quirinale. Per un motivo semplice: un presidente, che fosse anche capo di un movimento o di un partito, concentrerebbe in sé una forza istituzionale capace di incrinare l’equilibrio dei poteri. E’ una prassi saggia".

Quindi al Quirinale va solo un attore non protagonista?

"Vanno personalità che non controllano un partito o una sua parte. Per questo non sono mai andati leader come Moro, Fanfani o Andreotti".

Qual è la novità che vede in questa tornata per il Colle?

"Ne vedo due. Per la prima volta l’elezione può avere un impatto dirompente sulla maggioranza di governo. Inoltre questa scadenza avviene in un momento di grande crisi dei partiti che faticano a governare i gruppi parlamentari, rendendo difficili le necessarie convergenze".

Il nome per il Quirinale tocca, come si dice, al centrodestra?

"Chi mette i paletti poi è ricambiato da altri paletti. Qui bisogna eliminare centrodestra e centrosinistra e trovare un nome che può essere sostenuto da entrambi gli schieramenti".

Vede un identikit capace di mettere d’accordo tutti?

"Io registro solo una cosa: nei sondaggi popolari i candidati apparsi finora sui giornali hanno un consenso minimo, a partire da Draghi che raggiunge il 17%. Un consenso lillipuziano che esprime un distacco tra il Palazzo e il Paese reale".

E se il nome fosse quello di una donna?

"Non vedo una candidatura femminile che abbia i tre profili, a mio giudizio, necessari per un buon presidente: una lunga esperienza politica e di governo, un battesimo elettorale e consolidati rapporti internazionali. La verità è che non si elegge un capo dello Stato con una scelta di genere".

Cosa auspica?

"Che si adotti il metodo che portò all’elezione di Cossiga al primo turno. Ma occorre che i leader siano umili, si parlino tra di loro e trovino convergenze".

Viste le premesse, pensa che si andrà per le lunghe?

"Con questa maggioranza di governo l’elezione dovrebbe avvenire già al primo turno. Se si arriva alla quarta vuol dire che il gioco si è rotto".