Martedì 7 Maggio 2024

Il nuovo corso del Pd, anche in Emilia-Romagna la rinuncia alle primarie. "Spesso sono divisive"

Dopo il caso Firenze, l’altro fortino rosso alle prese con la crisi della partecipazione. In primavera il voto amministrativo, il centrodestra sogna conferme e sorpassi. E in molte città i dem sono ancora senza candidati. Sullo sfondo il rebus regionali

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Bologna, 12 dicembre 2023 – Digi-evoluzione della federazione (ex) comunista più forte d’Europa: dalle acclamazioni bulgare (i cari anni Ottanta e Novanta) alle primarie per forza; dal passaggio di un Pd reso da partito a movimento fino all’attuale azzeramento dei gazebo che pur parevano tanto cari alla segretaria Elly Schlein. Anche perché, a dirla tutta, i candidati democratici ancora non ci sono, figuriamoci le consultazioni. Anomalia qui, in Emilia-Romagna, nella terra rossa che forse così rossa non lo è più e dove, spesso, i ’delfini’ erano scelti con mesi, anni di anticipo ma, negli ultimi giri elettorali, erano tutti passati dalle primarie. Più che il percorso da primo stadio a campione, raccontato dal cartone animato sui Digimon, pare un’andata e ritorno.

In primavera si vota per le amministrative in tutte le città chiave della regione – esclusa Bologna – e il centrodestra ha davanti un obiettivo storico. Non solo confermare numeri nazionali (da due turni almeno il centrodestra ha la maggioranza), ma anche mantenere le città-simbolo della svolta, leggi Ferrara e Forlì. Il Pd, dal canto suo, deve difendere i fortini di Cesena (unica città con un nome sicuro, l’uscente e favorito Enzo Lattuca), Reggio Emilia e Modena. A Ferrara governa il leghista Alan Fabbri che verrà ricandidato e conterà, oltre ai partiti di centrodestra, su una forte civica personale in stile Luca Zaia. Il Pd si accoderà su Fabio Anselmo, l’avvocato dei casi Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, che si è dichiarato disponibile alla missione (quasi) impossibile.

A Forlì il sindaco uscente Gian Luca Zattini cerca il bis e il Pd per ora ha solo qualche ipotesi in mano. A Reggio Emilia con ogni probabilità si eviteranno primarie fratricide per convergere sul civico Marco Massari, l’infettivologo volto reggiano della lotta al Covid. E a Modena, dove sullo sfondo sibila il clangore del dualismo fra il sindaco uscente non ricandidabile Giancarlo Muzzarelli e il governatore Stefano Bonaccini, al momento non ci sono certezze se non quella che si farà di tutto per evitare gazebo divisivi.

La cornice è anche quella di un partito ancora stordito dal dualismo Schlein-Bonaccini che qui, in Emilia, ha avuto le distonie maggiori. Un solo amministratore si è schierato con Schlein ed è il primo cittadino di Bologna Matteo Lepore.

Proprio attorno a Bonaccini ruota gran parte del futuro politico. Il presidente della Regione si candiderà alle Europee di giugno 2024, ormai è certo, e porterà a termine il mandato. Lui dirà che in questo modo non è scappato dai suoi obblighi. L’opposizione invece lo incalzerà su questo tema nei giorni difficili della ricostruzione post alluvione. A quel punto, se eletto, Bonaccini avrà trenta giorni per dimettersi; il governo 150 (o un anno) per indire le elezioni. Lo scenario più plausibile sarà quello di un voto fra novembre e dicembre; più difficile andare invece alla primavera 2025. Una modifica dello statuto della Regione, votato in maniera bipartisan nel 2022 (forse tutti i consiglieri avevano voglia di portare a ‘casa’ la legislatura?), sancisce infatti che in caso di dimissioni del presidente non si debba determinare la caduta della giunta e il voto immediato, ma il lavoro possa essere portato a termine dal vicepresidente, ora Irene Priolo.

Chi si candiderà? Anche qui la partita è difficilissima e, con ogni probabilità. non si farà con le primarie. Dovrà essere valutato il voto europeo, poi quello amministrativo. A quel punto ci saranno tre strade: la continuità, con l’assessore al lavoro Vincenzo Colla; un amministratore; oppure un nome ‘terzo’ come l’europarlamentare Elisabetta Gualmini.