Bologna, 12 dicembre 2023 – Digi-evoluzione della federazione (ex) comunista più forte d’Europa: dalle acclamazioni bulgare (i cari anni Ottanta e Novanta) alle primarie per forza; dal passaggio di un Pd reso da partito a movimento fino all’attuale azzeramento dei gazebo che pur parevano tanto cari alla segretaria Elly Schlein. Anche perché, a dirla tutta, i candidati democratici ancora non ci sono, figuriamoci le consultazioni. Anomalia qui, in Emilia-Romagna, nella terra rossa che forse così rossa non lo è più e dove, spesso, i ’delfini’ erano scelti con mesi, anni di anticipo ma, negli ultimi giri elettorali, erano tutti passati dalle primarie. Più che il percorso da primo stadio a campione, raccontato dal cartone animato sui Digimon, pare un’andata e ritorno.
In primavera si vota per le amministrative in tutte le città chiave della regione – esclusa Bologna – e il centrodestra ha davanti un obiettivo storico. Non solo confermare numeri nazionali (da due turni almeno il centrodestra ha la maggioranza), ma anche mantenere le città-simbolo della svolta, leggi Ferrara e Forlì. Il Pd, dal canto suo, deve difendere i fortini di Cesena (unica città con un nome sicuro, l’uscente e favorito Enzo Lattuca), Reggio Emilia e Modena. A Ferrara governa il leghista Alan Fabbri che verrà ricandidato e conterà, oltre ai partiti di centrodestra, su una forte civica personale in stile Luca Zaia. Il Pd si accoderà su Fabio Anselmo, l’avvocato dei casi Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi, che si è dichiarato disponibile alla missione (quasi) impossibile.
A Forlì il sindaco uscente Gian Luca Zattini cerca il bis e il Pd per ora ha solo qualche ipotesi in mano. A Reggio Emilia con ogni probabilità si eviteranno primarie fratricide per convergere sul civico Marco Massari, l’infettivologo volto reggiano della lotta al Covid. E a Modena, dove sullo sfondo sibila il clangore del dualismo fra il sindaco uscente non ricandidabile Giancarlo Muzzarelli e il governatore Stefano Bonaccini, al momento non ci sono certezze se non quella che si farà di tutto per evitare gazebo divisivi.
La cornice è anche quella di un partito ancora stordito dal dualismo Schlein-Bonaccini che qui, in Emilia, ha avuto le distonie maggiori. Un solo amministratore si è schierato con Schlein ed è il primo cittadino di Bologna Matteo Lepore.
Proprio attorno a Bonaccini ruota gran parte del futuro politico. Il presidente della Regione si candiderà alle Europee di giugno 2024, ormai è certo, e porterà a termine il mandato. Lui dirà che in questo modo non è scappato dai suoi obblighi. L’opposizione invece lo incalzerà su questo tema nei giorni difficili della ricostruzione post alluvione. A quel punto, se eletto, Bonaccini avrà trenta giorni per dimettersi; il governo 150 (o un anno) per indire le elezioni. Lo scenario più plausibile sarà quello di un voto fra novembre e dicembre; più difficile andare invece alla primavera 2025. Una modifica dello statuto della Regione, votato in maniera bipartisan nel 2022 (forse tutti i consiglieri avevano voglia di portare a ‘casa’ la legislatura?), sancisce infatti che in caso di dimissioni del presidente non si debba determinare la caduta della giunta e il voto immediato, ma il lavoro possa essere portato a termine dal vicepresidente, ora Irene Priolo.
Chi si candiderà? Anche qui la partita è difficilissima e, con ogni probabilità. non si farà con le primarie. Dovrà essere valutato il voto europeo, poi quello amministrativo. A quel punto ci saranno tre strade: la continuità, con l’assessore al lavoro Vincenzo Colla; un amministratore; oppure un nome ‘terzo’ come l’europarlamentare Elisabetta Gualmini.