Roma, 8 dicembre 2023 – "Le primarie non esistono più? La prima cosa che mi viene da dire è: per fortuna". Il politologo Paolo Feltrin, docente di scienza dell’amministrazione e analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste, non è stupito del fatto che Elly Schlein, eletta segretaria del Partito Democratico proprio grazie alle primarie (aveva perso il voto degli iscritti), le abbia archiviate per la scelta dei prossimi candidati sindaci e governatori. "Le primarie sono un frutto della tipica esterofilia italiana. Ovvero dell’andare a copiare dagli altri quello che loro stessi criticano. Negli Stati Uniti non sono apprezzate perché sostanzialmente favoriscono chi ha già tanti soldi. E poi tendono a favorire le ali estreme. Come quelle che incoronarono McGovern per poi portarlo a una disfatta contro Nixon nel 1972".
E invece da noi?
"Da noi sono state importate in ritardo e all’italiana. L’idea di democrazia che abbiamo avuto nel Novecento è stata quella di una competizione al centro. Invece il XXI secolo è caratterizzato da democrazie radicalizzate, dove la competizione avviene sulle estreme. Quindi adesso si riflette se non sia meglio rafforzare la rappresentanza piuttosto che il direttismo. Il problema italiano è che le primarie come le facciamo da noi non esistono da nessuna parte al mondo. Non ci sono distinzioni tra il voto degli iscritti e quelle aperte. Ma soprattutto: a cosa servono i militanti se poi a decidere è la gente che va ai banchetti?".
Ma se succede come è andata con Schlein, ovvero che le primarie aperte smentiscono il voto degli iscritti?
"Bisognerebbe chiudere il partito. A che serve se viene smentito dai suoi elettori? La logica conseguenza di un risultato del genere è che il partito va semplicemente mandato a casa. Questo è interessante: implicitamente Schlein si è accorta di questa contraddizione insensata".
Magari ha pensato: dalla mia esperienza ho imparato che le primarie sono sbagliate.
"Ecco, in effetti per paradosso colei che ne ha tratto vantaggio ha anche tratto le conclusioni logiche della contraddizione interna. Chi la irride quindi sbaglia. Poi c’è un altro punto".
Quale?
"Le primarie hanno un senso con partiti a vocazione maggioritaria, che hanno il 35-40%. Se un partito ha il 20% a che servono? È evidente che a quel punto la scelta del candidato è negoziata con un accordo di coalizione. Le primarie funzionano con un azionista di maggioranza vero. Lo vediamo nelle elezioni locali, dove al gioco delle primarie non ci sta più nessuno".
La segretaria del Pd ha detto proprio che le primarie sono uno strumento che dipende dal contesto locale. E che in alcuni territori si fanno, in altri si trova un accordo.
"In generale è uno strumentro che funziona unicamente quando c’è davvero da scegliere tra due candidati forti e alternativi che si dividono sulla base dei programmi, oppure quando c’è un pivot, ovvero un partito centrale nella coalizione. Non a caso all’inizio sembrava che dovessero entrare in tutto il sistema italiano, invece poi a farle è rimasto solo il Pd".
Ma le primarie spostano voti?
"No. La domanda vera è: in una coalizione così divisa come quella del centrosinistra le primarie sono uno strumento davvero utile per la scelta dei candidati? Nella maggioranza dei casi non funzionano. Hanno funzionato quando il Pd era il partito centrale della coalizione".
Quindi quelle di coalizione sono utili?
"Lo sono quando c’è un partito forte, perché legittimano le candidature. Quelle di Prodi e di Bersani erano uno strumento di propaganda perché il candidato era certo. Ma sono state introdotte come uno strumento decisionale, non di propaganda. Invece vorrei far notare che il voto di preferenza che si dà alle Europee è una sorta di primaria interna. Senza contare che lì il voto è certificato. A cosa servono i banchetti allora?".