Roma, 4 maggio 2024 – Dietro la candidatura alle elezioni europee di ciascun leader c’è ovviamente un sottotesto politico da interpretare. Era noto da tempo che Giorgia Meloni si sarebbe candidata dappertutto: ha lanciato un referendum sulla sua persona (Giorgia) e sul suo governo. Non poteva non essere un referendum nazionale. Si aggiunga che una parte significativa dell’elettorato di Fratelli d’Italia vota il partito solo se in lista c’è la sua leader.
In una elezione di ‘mezzo termine’ – come si chiamerebbe in America – il bilancio dei primi diciotto mesi di governo e la spinta verso l’ultimo triennio di legislatura sono elementi troppo forti per non coinvolgere direttamente ‘Giorgia’.
Molto diverso lo scenario in cui ha dovuto muoversi Elly Schlein. La segretaria era stretta tra due esigenze: consolidare la propria leadership e rispettare quella larga fetta di partito che "non l’ha vista arrivare". Basti vedere la prudenza con cui si muove sul referendum sul Jobs Act renziano promosso dalla Cgil. "Non abiuro", dice Lorenzo Guerini, e non è il solo. Alla fine la segretaria ha evitato strappi e trovato una soluzione equilibrata. Presentandosi in due circoscrizioni si mette in gioco personalmente (e si prevede che i risultati non la deluderanno).
Al tempo stesso ha messo in lista pacifisti lontani dalla linea ufficiale del partito sugli aiuti anche militari all’Ucraina come Marco Tarquinio e Cecilia Strada e personalità più ortodosse come Lucia Annunziata.
Era scontata anche la presenza massiccia di Antonio Tajani (quattro circoscrizioni su cinque). Le crisi internazionali hanno dato al ministro degli Esteri una straordinaria visibilità e il voto a ridosso del primo anniversario della morte di Berlusconi (12 giugno) possono dare a Forza Italia una spinta del tutto imprevista un anno fa quando ci si interrogava sulla stessa sopravvivenza del partito.
Hanno fatto bene invece, a nostro avviso, Matteo Salvini e Giuseppe Conte a non candidarsi. La distanza dal 34,3 per cento riportato dalla Lega alle Europee del 2019 sarà in ogni caso così forte da rendere imprudente l’impegno in primissima linea del segretario che ha il suo enorme potenziale alle Infrastrutture da far valutare.
Conte è certamente un leader riconosciuto e solidissimo alla guida del Movimento 5 Stelle. Ma gli sarebbe convenuto un confronto diretto con Schlein (e con Meloni), magari nella stessa circoscrizione?
Più difficili da interpretare le scelte dell’ultima ora di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Renzi – grazie anche all’alleanza con Emma Bonino – ha ottime possibilità di andare a Strasburgo e ha promesso che ci andrà. Dovrebbe dimettersi da senatore e rinunciare a quella leadership sul campo che si è guadagnato con eccellenti discorsi parlamentari. Bah…
Ancora più coraggiosa la decisione di Calenda. Per quello che valgono, i sondaggi non gli garantiscono l’elezione. Lui pensa generosamente di ribaltarli. Ma la sua forza politica, Azione, non sarebbe in larga parte compromessa se lui non ci riuscisse?