Venerdì 26 Aprile 2024

Governo, Cassese: sì al contratto modello tedesco

Intervista al decano dei giuristi italiani. "Funziona, perché non sperimentarlo anche in Italia? Siamo nel proporzionale" Governo ultime news, Fico convocato al Quirinale alle 17

Sabino Cassese e Sergio Mattarella

Sabino Cassese e Sergio Mattarella

Roma, 23 aprile 2018 - Professor Cassese, a che punto siamo sul fronte della formazione del governo? «Dando per scontato quel che sapevamo fin dall’inizio, e cioè che abbiamo votato con una formula elettorale prevalentemente proporzionale, e che il risultato è che vi sono vincitori senza vittoria, vedo due importanti fatti positivi» – premette Sabino Cassese, decano dei giuristi italiani, giudice emerito della Consulta, considerato da tutti una 'riserva della Repubblica'.

Governo ultime news, Fico convocato al Quirinale alle 17

Quali sono i 'fatti positivi' di questa fase? «Il rapido avvio di un processo di istituzionalizzazione di forze politiche che hanno finora agito come movimenti; l’attenzione finalmente prestata ai programmi. Quindi, chi pensa che vada rispettato il risultato del voto deve valutare positivamente quel che è accaduto finora. Se si riesce ora a formare il governo, viene per esso la prova più difficile, quella della gestione». Proprio considerando il risultato elettorale, i passaggi per arrivare a un nuovo governo si sono svolti e si sviluppano secondo una regia precisa: quale schema intravede? «Uno ‘schema’ perfettamente corrispondente sia alle priorità istituzionali (un tentativo affidato prima alla seconda carica dello Stato, poi alla terza, dopo le consultazioni presidenziali dirette), sia alle esigenze della politica (il presidente del Senato fa parte della destra, quello della Camera del M5S), sia ai precedenti. Ho curato, insieme con Giuseppe Galasso e con Alberto Melloni, una grande opera sui presidenti della Repubblica, tra qualche mese in libreria per i tipi del Mulino, e chi avrà la pazienza di leggere le 1.300 pagine di questa ponderosa ricerca se ne potrà rendere conto. Comunque, non dimentichi che i poteri del presidente sono disegnati dalla Costituzione ‘a fisarmonica’ (secondo la metafora coniata da Giuliano Amato), per cui i presidenti possono adeguare le procedure alle esigenze concrete del momento storico».

Potrebbe, poi, farsi ricorso a un pre-incarico? «Certamente. Se il presidente intravede la possibilità di formazione di una maggioranza parlamentare intorno a delle forze politiche, può incaricare un esponente di una di esse di approfondire l’esame, per poi procedere alla nomina del presidente e, su sua proposta, dei ministri. Il presidente, in questa fase, ha un ruolo maieutico, deve aiutare il formarsi di una compagine che possa poi avere l’approvazione parlamentare (quella che la Costituzione chiama fiducia)». Il mandato esplorativo può trasformarsi anche in mandato pieno? «La procedura non è codificata e questo può avvenire». Se dovessero rivelarsi vani anche i due nuovi tentativi, quale possibilità rimane? Un governo del Presidente o quale altra formula? «Come è stato più volte osservato, non esiste un governo del Presidente, perché i governi debbono sempre avere una approvazione parlamentare (la fiducia). Vi sono stati, in passato, governi che hanno avuto la fiducia, pur non essendo ritenuti diretta espressione dei partiti che davano la fiducia. Il governo Pella (1953-1954) fu chiamato ‘governo d’affari’ o ‘governo amministrativo’, e fu considerato solo un ‘governo amico’ (l’espressione fu usata da De Gasperi) dalla Dc che lo votò». Come giudica l’esperimento dei 5 Stelle di affidare a una commissione di esperti la valutazione della compatibilità dei programmi di governo tra i possibili alleati? E che cosa pensa della formula del contratto di governo sul modello tedesco? «Quando si forma un governo, bisogna innanzitutto avere un programma, indicare delle politiche. Se il governo è di coalizione, come necessariamente nel nostro caso, occorre cercare i punti di convergenza tra i programmi delle forze che si coalizzano. Se, infine, vi sono punti di convergenza tra i programmi, occorre che questi vengano scritti in un accordo, che potrebbe essere poi la base dell’esposizione in Parlamento del presidente del Consiglio dei ministri, quando questi chiede la ‘fiducia’ del Parlamento. Tutto ciò è persino ovvio, tanto ovvio che, una volta approvata la legge elettorale attuale, prima dello svolgimento delle elezioni del 4 marzo 2018, diversi commentatori e osservatori hanno indicato come esempio da seguire quello tedesco». Come fanno in Germania? «Lì dal 20 ottobre 1961 è stata sperimentata la formula del Koalitionsvertrag (accordo di coalizione). Per quanto ricordo, quello della diciottesima legislatura, firmato il 23 dicembre 2013, era di 139 pagine. Quello attuale, firmato il 12 marzo 2018, consta di 177 pagine (nella versione preparata il 7 febbraio). L’accordo di coalizione si estende su tutta l’attività di governo». Ma è una soluzione? «So che c’è chi lo critica, dicendo che si pone in dubbio la libertà di voto dei parlamentari. Ma in Germania ha funzionato. Considerata la distanza che c’è tra le posizioni delle forze politiche italiane, perché non sperimentarlo anche in Italia?».

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