Giovedì 25 Aprile 2024

La Lega nazionale non piace più, il grido del Veneto: tornare al Nord

Il governatore Zaia: "I conti si fanno dopo i ballottaggi". Ma i dirigenti vogliono ripartire dall’autonomismo

Matteo Salvini, 49 anni, e Giorgia Meloni, nata nel 1977, sul palco a Verona

Matteo Salvini, 49 anni, e Giorgia Meloni, nata nel 1977, sul palco a Verona

Se la Lega non decolla o frana è un problema soprattutto di Matteo Salvini. Se la Lega cede nelle sue terre, in particolare nel Veneto, è un problema di tutti, è un problema enorme. "Come se il Pci fosse crollato in Emilia Romagna", il ritornello che rimbomba qui ed ora tra i militanti. Certo la partita non è chiusa: è il governatore, Luca Zaia, a segnalare "che i conti si fanno dopo i ballottaggi". Frase sibillina nella quale molti colgono un accento di minaccia.

Ma se anche tutto andasse per il meglio, se il centrodestra infine unito riuscisse a conquistare Verona oltre a Belluno, resta il fatto che rischiare grosso giocando in casa è una sirena d’allarme che suona distesa. Certo, fa male la sconfitta del candidato ’civico’ Francesco Peghin a Padova che molti avrebbero voluto targato Lega. Soprattutto, però, brucia che a surclassare un po’ ovunque il Carroccio sia il partito ultra-centralista della Meloni: "Una contraddizione in termini, visto che questa è la patria dell’autonomismo – dice l’assessore regionale allo sviluppo, Roberto Mercato –. Non possiamo nasconderci: qualcosa non ha funzionato".

E fosse un intoppo da niente: sul tavolo degli ’imputati’ c’è il leader, Matteo Salvini ma, soprattutto, c’è la sua creatura, nella quale l’unica cosa evidente è che non ha fatto abbastanza gli interessi del Nord. Eccola qui l’accusa che molti girano al segretario: aver snaturato la ragione sociale del Movimento, fatta di territori. "La Lega in Veneto costruisce il suo consenso su una cultura di localismo anti-statalista. Una posizione nazionalista e sovranista, che pure ha premiato alle ultime europee, ora si espone alla concorrenza di una leader efficace come Giorgia Meloni", conferma Marco Almagisti, docente di Scienza politica a Padova. Nelle prossime settimane Salvini dovrà vedersela con numerose e contrastanti pressioni.

Senza dubbio i governisti lo spingeranno con tutte le loro forze a mettere la sordina alle critiche che, pur senza conseguenze, rivolge a Draghi. Altrettanto indiscutibilmente, i duri gli chiederanno di radicalizzare le sue scelte. Ma questo è repertorio: il vero problema sarà proprio la richiesta di chiarezza dei territori del Nord, perché a quella il capo della Lega proprio non può restare sordo. "Tutte le difficoltà nascono da lì, dal fatto che non è chiaro ciò che vuole Salvini", sottolinea il politologo Paolo Feltrin. Molto peseranno i conti finali, che in questi casi sono sempre confusi e ambigui: le liste civiche infatti impediscono un conteggio limpido del voto di lista e in Veneto "ce ne sono state davvero moltissime", conferma Giovanni Diamanti (You trend). Ma la prova reale saranno i congressi regionali e provinciali – incalzano i leghisti veneti – da cui deve uscire una classe politica locale. "L’emergenza Covid è finita, serve una linea di comando netta". Passando, magari, per un’assemblea nazionale in cui confrontarsi per poi arrivare ad una sintesi.

Al netto del politichese, la realtà è che la base nordica, gli azionisti di maggioranza del partito, chiederanno non solo di assumere una linea chiara ma pure di dire espressamente che al primo posto nell’agenda della Lega, nazionale o non nazionale che sia, soprattutto nella tempesta che si prepara, c’è la difesa del Nord. Delle regioni del Nord, dei lavoratori del Nord, delle imprese del Nord. Insomma, dello zoccolo duro.