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Se la Lega non decolla o frana è un problema soprattutto di Matteo Salvini. Se la Lega cede nelle sue terre, in particolare nel Veneto, è un problema di tutti, è un problema enorme. "Come se il Pci fosse crollato in Emilia Romagna", il ritornello che rimbomba qui ed ora tra i militanti. Certo la partita non è chiusa: è il governatore, Luca Zaia, a segnalare "che i conti si fanno dopo i ballottaggi". Frase sibillina nella quale molti colgono un accento di minaccia. Ma se anche tutto andasse per il meglio, se il centrodestra infine unito riuscisse a conquistare Verona oltre a Belluno, resta il fatto che rischiare grosso giocando in casa è una sirena d’allarme che suona distesa. Certo, fa male la sconfitta del candidato ’civico’ Francesco Peghin a Padova che molti avrebbero voluto targato Lega. Soprattutto, però, brucia che a surclassare un po’ ovunque il Carroccio sia il partito ultra-centralista della Meloni: "Una contraddizione in termini, visto che questa è la patria dell’autonomismo – dice l’assessore regionale allo sviluppo, Roberto Mercato –. Non possiamo nasconderci: qualcosa non ha funzionato". E fosse un intoppo da niente: sul tavolo degli ’imputati’ c’è il leader, Matteo Salvini ma, soprattutto, c’è la sua creatura, nella quale l’unica cosa evidente è che non ha fatto abbastanza gli interessi del Nord. Eccola qui l’accusa che molti girano al segretario: aver snaturato la ragione sociale del Movimento, fatta di territori. "La Lega in Veneto costruisce il suo consenso su una cultura di localismo anti-statalista. Una posizione nazionalista e sovranista, che pure ha premiato alle ultime europee, ora si espone alla concorrenza di una leader efficace come Giorgia Meloni", conferma Marco Almagisti, docente di Scienza politica a Padova. Nelle prossime settimane Salvini dovrà vedersela con numerose e contrastanti pressioni. Senza dubbio i governisti ...
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