Mercoledì 24 Aprile 2024

Conte bis, soffia dal Nord il vento contro il governo

Egemonia sudista nei ministeri economici. E dove c'è il Pil comanda la Lega

Giuseppe Conte (Ansa)

Giuseppe Conte (Ansa)

Roma, 5 settembre 2019 - La vera sfida è la questione settentrionale. Il Conte bis, figlio della più originale crisi repubblicana, nasce con ispirazioni di riscossa e di garanzia ma in un quadro di asimmetria della rappresentanza. Vero che ogni ministro lavora per il Paese tutto, però chi vince o chi perde con il nuovo assetto emerge già con decisione. L’Italia del Pil, quel sostanziale pezzo di Paese che produce, compete e vorrebbe rilanciarsi, non trova immediate consonanze nella compagine governativa. L’esecutivo giallorosso si caratterizza anzi per un tratto antropologico quasi da Prima Repubblica, con predominanza di ministri nati al Sud: ben 12, considerando il presidente del Consiglio, che abbinati ai due ottimati romani fanno 14, contro solo otto ministri nati al Nord e nessuno delle storiche regioni rosse. Il Conte bis intimamente di sinistra cancella infatti Toscana, Umbria e Marche dagli scranni di palazzo. Le bandierine del premier orgogliosamente pugliese? Eccole: quattro campani (Di Maio, Costa, Amendola e Spadafora), tre siciliani (Bonafede, Provenzano e Catalfo), due pugliesi (Boccia e Bellanova), due lucani (Speranza e Lamorgese). I ministri romani sono Gualtieri e Fioramonti. Al Nord toccano due lombardi (Guerini e Bonetti), due emiliani (Franceschini e De Micheli), due piemontesi (Pisano e Dadone), più il veneto D’Incà e il giuliano Patuanelli.

Ma è sul peso dei singoli ministeri che la sproporzione emerge in modo ancora più evidente. Tra i dicasteri di prima fascia nessuno sarà guidato da esponenti dem o stellati del centro-nord. L’unica punta è Patuanelli allo Sviluppo economico. De Micheli ai Trasporti, Franceschini ai Beni culturali e Guerini alla Difesa confinano la rappresentanza nordista a settori meno strategici. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha ben presente il problema. Tanto da autoproclamarsi, alla Festa dell’Unità, «punto di riferimento del centrosinistra al Nord»: per la crescita e contro le bordate della Lega. L’analisi comparata delle rappresentanze di Pd e 5 Stelle propone un’ulteriore riflessione: il dem Gualtieri all’Economia, con la benedizione di Bruxelles, delle banche e dei mercati, ma senza una presistente dialettica con grande industria e pmi, probabilmente non basta a compensare l’occupazione seriale attuata dai 5 Stelle di Lavoro e Welfare, Sviluppo economico, Pa, Istruzione, Innovazione. Una filiera di spesa e di voto tutta gialla. E la Sanità finita a Leu completa il quadro di un Pd escluso dalle tradizionali riserve di caccia (salvo l’Agricoltura).

Il rischio concreto è che ai dem restino intestati i dossier incadescenti della manovra, quelli umanitari della gestione migranti e il ruolo di stopper delle sbavature alleate e dei crescenti appetiti delle Regioni. Il ministro degli Affari regionali Boccia ha già fatto sapere cosa pensa dell’autonomia inseguita da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna. "Le premesse non sono le più positive sia per l’autonomia sia per le tante questioni che si riferiscono al Nord", certifica il governatore lombardo Attilio Fontana. Il confronto tra il governo giallorosso e i territori dove il Pil è il primo vero partito non sarà una passeggiata: "Non si sente parlare di lavoro e di impresa. È preoccupante", mette in guardia su La Stampa il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, bollando come "bugia" l’anno "bellissimo" promesso da Conte.