Venerdì 26 Aprile 2024

"Quanti libri brutti e inutili, sono meglio le serie tv"

Il mito del valore salvifico della lettura si scontra con la realtà di un mercato pieno di scartoffie. "Che cosa resta? I classici"

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di Massimo Cutò

Meglio non leggerli: per lo più fanno male. E quando non sono dannosi, spesso si rivelano inutili. Ci voleva un giornalista, scrittore e docente (alla Cattolica di Milano) per dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità sulla montagna di carta stampata che resta invenduta sugli scaffali, ferma nei magazzini dei distributori o chiusa negli scantinati delle case editrici. Luigi Mascheroni, classe 1967, varesino di nascita, ha smascherato il grande inganno con un pamphlet di rara intelligenza: Libri, appena uscito per i tipi di Oligo. Sottotitolo: non danno la felicità. E tra parentesi: tanto meno a chi non li legge.

L’intento polemico è trasparente. L’autore demolisce, smitizza, dissacra il ruolo del libro entità intoccabile. Un totem fasullo, a dirla con Schopenhauer: "Per ogni libro degno di essere letto c’è una grande quantità di carta straccia". Mascheroni non ne può più. Lui di libri ne ha un’infinità in casa: per lavoro o per diletto ne ha affastellati 20-25mila, "neppure io so il numero". Quanti ne ha letti? Un decimo appena – sottolinea – "la maggior parte li ho solo sfogliati fra quarta di copertina, introduzione, aletta o niente del tutto". E questo con ragione, dati alla mano. Ogni anno in Italia si pubblicano 70mila titoli, 190 al giorno, 8 all’ora. Senza contare le autopubblicazioni e gli e-book. Ciascuno resiste al massimo tre mesi in libreria. Quindi entra nel circuito seconda mano per poi sparire. Valeva la pena scriverlo? Risposta secca: no.

"I libri non rendono migliori", attacca Mascheroni citando Hitler che leggeva un libro a notte e portò con sé 16mila volumi nel bunker della disfatta. Colpa dei cattivi autori. I cosiddetti intellettuali, i supposti uomini di cultura: il libello li addita come una casta che si nutre di gelosie, narcisismo, ipocrisie. Il mondo ha bisogno di conoscere il loro pensiero? O il pensiero delle celebrità con la penna in mano: calciatori, cuochi, cantanti, attori, politici, showgirl, influencer. Gente che invade librerie, radio e tivù, giornali. E classifiche. "Che cosa hanno a che fare questi alieni con la letteratura?", è il grido di dolore di Raffaele La Capria.

Dunque scrivere di meno, per prima cosa. Come seconda, leggere di più. Ma che non sia un imperativo né un dovere morale: dipende da cosa e come si legge. Basta con la retorica, i libri non ci salveranno. Men che meno nell’epoca del politicamente corretto e della cultura della cancellazione. Certi best seller stagionali e i libri usa e getta possono accomodarsi fra l’immondizia. Senza rimorsi. Meglio allora le serie tivù, "il più potente mezzo di narrazione contemporanea, massima espressione dell’arte di raccontare storie".

Che cosa resta alla fine? Il conforto dei classici, libri che conosci a memoria e non tradiscono mai. Libri che ti impegnano, ti sfidano, ti costano fatica. Ma ai quali non rinunci per via di quel che Larbaud chiamava "il vizio impunito": la lettura.

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