Mercoledì 24 Aprile 2024

Profondo Argento: a tu per tu con l’horror

Il Museo del cinema di Torino dedica al regista una grande mostra con i pupazzi, le teste e gli oggetti utilizzati nei suoi film

Migration

di Giovanni Bogani

Il pupazzo meccanico creato da Carlo Rambaldi per Profondo rosso, con quegli occhi maligni, quei due dentini sporgenti, spaventoso oltre ogni dire. La testa in silicone per metà perfetta, e per l’altra metà divorata, lacerata, ridotta a brandelli, creata da Sergio Stivaletti per Occhiali neri. Gli anni Settanta e il presente del maestro del brivido. E in mezzo, una carriera rosso sangue.

Si apre oggi, al Museo del cinema di Torino, la più grande mostra mai dedicata a Dario Argento e al suo cinema scintillante di paura. Lì, nei vasti spazi all’interno della Mole Antonelliana, divenuta il tempio del cinema e della sua storia. È la più grande mostra mai allestita sul nostro più importante autore di horror, il regista dell’Uccello dalle piume di cristallo, di Quattro mosche di velluto grigio. Ed è anche uno dei più imponenti tributi che gli dedica il cinema italiano, insieme al David di Donatello alla carriera che gli è stato riconosciuto nel 2019. Ma, se vai a guardare, non sono tantissimi i premi che hanno celebrato la carriera di genio artigiano, onorato e rispettato da tantissimi registi americani, da Brian De Palma a Quentin Tarantino.

E adesso, fino a gennaio, c’è questa mostra. In cui ci si può aggirare come dentro al tunnel della paura del Luna Park. Sali per le rampe lungo le pareti dell’enorme atrio, dove campeggia un’altra figura paurosa, l’enorme dio Moloch di cartapesta usato per il film Cabiria. E mentre stai salendo, incontri creature mostruose: topi sventrati, sbudellati, poltiglia sanguinolenta dal film Il fantasma dell’Opera, del 1998, sempre modellati e “sbraciolati“ da Sergio Stivaletti. O un corvo, nerissimo, con il becco cattivo, hitchcockiano, dal film Opera.

È un gioco, aggirarsi fra i cento manifesti, gli abiti di scena – firmati Armani – o i gioielli disegnati da Bulgari. È un gioco passeggiare nel cinema color tenebra di Dario Argento. Ed è così che volevano la mostra i due curatori, Marcello Garofalo e Domenico De Gaetano, che del Museo del cinema è anche direttore. "Da quando mi sono insediato come direttore del Museo ho iniziato a pensare a questa mostra, all’omaggio a uno dei grandissimi del cinema italiano: avremmo voluto inaugurarla per gli ottant’anni di Dario Argento, ma la pandemia aveva fermato tutto. Finalmente, dopo tanta attesa, riusciamo a inagurarla. Un altro passo nella direzione del Museo che sogno: vicino alla gente, un museo da vivere, un’esperienza da fare, per tutti. Un museo al quale dare del tu".

E dai del tu a questo Museo che ti fa paura ma non ti intimorisce. Mentre risali, verso l’alto, e scopri che per la locandina di Inferno era stato fatto, prima, un terrificante calco in gesso di un teschio, che adesso ti guarda con le sue orbite vuote, da una bacheca di vetro. E scopri che il manifesto di Opera lo ha firmato il re del cartellonismo cinematografico italiano, Renato Casaro, che per quella locandina, con l’occhio infilzato da una serie di spilli sotto la palpebra, vinse nel 1988 il Ciak d’oro.

In tutto questo, quasi sottovoce, Dario Argento. "Mi sento un clandestino, in questa mostra che mi racconta", dice con una voce tenue tenue, ma limpida. "Chissà chi è Dario Argento: io mica lo conosco bene. Faccio film come mi sento, tuffandomi nelle mie profondità, senza capire che cosa sto facendo. Ma questa mostra sembra dirmi, per la prima volta, chi sono e che cosa ho fatto. Ho capito meglio i miei film vedendo questa mostra, che facendoli! E io sono felice di essere lo spettatore più stupito di tutti".

Fra gli spettatori affascinati, ieri stava scivolando via anche il regista Mario Martone, che a Torino in questi giorni porta in scena Il filo di mezzogiorno di Goliarda Sapienza, con Donatella Finocchiaro. "Sono da sempre un fan di Dario Argento: e come si può non esserlo?" dice il regista napoletano. Mentre Dario Argento, nel ricevere il premio “Stella della Mole“, si commuove. "Non so se me la merito tutta questa attenzione, non so se me la merito", continua a ripetere, e mentre gli applausi si fanno più forti, la voce gli si incrina.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro