di Giovanni Bogani Il pupazzo meccanico creato da Carlo Rambaldi per Profondo rosso, con quegli occhi maligni, quei due dentini sporgenti, spaventoso oltre ogni dire. La testa in silicone per metà perfetta, e per l’altra metà divorata, lacerata, ridotta a brandelli, creata da Sergio Stivaletti per Occhiali neri. Gli anni Settanta e il presente del maestro del brivido. E in mezzo, una carriera rosso sangue. Si apre oggi, al Museo del cinema di Torino, la più grande mostra mai dedicata a Dario Argento e al suo cinema scintillante di paura. Lì, nei vasti spazi all’interno della Mole Antonelliana, divenuta il tempio del cinema e della sua storia. È la più grande mostra mai allestita sul nostro più importante autore di horror, il regista dell’Uccello dalle piume di cristallo, di Quattro mosche di velluto grigio. Ed è anche uno dei più imponenti tributi che gli dedica il cinema italiano, insieme al David di Donatello alla carriera che gli è stato riconosciuto nel 2019. Ma, se vai a guardare, non sono tantissimi i premi che hanno celebrato la carriera di genio artigiano, onorato e rispettato da tantissimi registi americani, da Brian De Palma a Quentin Tarantino. E adesso, fino a gennaio, c’è questa mostra. In cui ci si può aggirare come dentro al tunnel della paura del Luna Park. Sali per le rampe lungo le pareti dell’enorme atrio, dove campeggia un’altra figura paurosa, l’enorme dio Moloch di cartapesta usato per il film Cabiria. E mentre stai salendo, incontri creature mostruose: topi sventrati, sbudellati, poltiglia sanguinolenta dal film Il fantasma dell’Opera, del 1998, sempre modellati e “sbraciolati“ da Sergio Stivaletti. O un corvo, nerissimo, con il becco cattivo, hitchcockiano, dal film Opera. È un gioco, aggirarsi fra i cento manifesti, gli abiti di scena – firmati Armani – o i gioielli disegnati da ...
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