Giovedì 9 Maggio 2024
LETIZIA CINI
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Locandine desiderio: il porno è da museo

Prato, la fotografa Marialba Russo svela la mostra ’Cult fiction’: "In ottanta manifesti osé riaffiora un’Italia con meno censura"

La locandina di 'Piacere di donna' (1969)

La locandina di 'Piacere di donna' (1969)

L’insaziabile, I porno desideri di una studentessa, La moglie in calore, Fantasie di una tredicenne, Spermula. Titoli più che eloquenti a corredo di immagini che parlano da sole: spinte, spintissime ma, per un lungo periodo neanche troppo lontano, esposte agli occhi di adulti e piccini sui muri e nelle bacheche dei cinema delle nostre città. Inconcepibile, in un presente dove c’è chi vorrebbe mettere al bando il bacio ’non consensuale’ del principe azzurro a Biancaneve.

"È vero, pensando a come sono cambiate le cose, quei manifesti oggi fanno l’effetto degli affreschi di Pompei", ironizza Marialba Russo, fotografa napoletana classe 1947, autrice di una selezione di istantanee raccolte in Cult fiction, mostra a cura di Cristiana Perrella che tiene a battesimo la riapertura di uno dei musei più attenti all’avanguardia d’Italia: il Centro per l’arte contemporanea Pecci di Prato. E il perché di questa singolare collezione, proposta per la prima volta, lo spiega direttamente Marialba Russo.

Sessanta locandine di film a luci rosse scattate tra marzo 1978 e dicembre ’79 tra Napoli e Aversa: come nasce l’idea?

"Casualmente, comincia con il primo manifesto: mi colpì quell’immagine fortemente erotica inserita nel caos del contesto urbano. Una scossa elettrica, il disegno di quei corpi femminili sottomessi, incatenati, ritratti in posizioni esplicite e offerti a chi guarda come carne da consumare, strideva in un momento storico legato alle lotte di liberalizzazione della donna. Anni di battaglie per il conseguimento dell’emancipazione: divorzio, aborto, leggi contro la violenza, consultori, diritto di famiglia, lavoro".

L’obiettivo?

"Indagare sul rituale tutto maschile del cinema porno, quello crudo da caserma, individuando i segni di una società in trasformazione, capace di assistere a una nuova tolleranza nei confronti della fortissima richiesta di sesso esplicito, con donne disposte a farsi filmare e a farsi guardare, ma anche a condividere la rivoluzione dei costumi in atto, dall’altro. Durò poco, però. Ancora non sapevamo che questa tipologia di manifesti era destinata a cadere nell’oblio. E non per scelta".

Nel senso che è finito il richiamo del genere?

"Assolutamente no, anzi, il mercato dell’eros è fiorentissimo tutt’ora. Solo che poco dopo l’apertura dei cinema a luci rosse, quasi dei “ghetti“ per adulti, l’arrivo di vere e proprie star del porno come Moana Pozzi e Cicciolina, e soprattutto l’avvento dell’homevideo con la possibilità di consumare i film erotici nell’intimità delle proprie case, portarono alla chiusura delle sale. Non alla fine del fenomeno".

Per non parlare dell’avvento di internet e dei siti porno...

"Che hanno definitivamente spazzato via i cinema hardcore, rendendo superflua la spesa per la stampa delle locandine per pubblicizzare le pellicole".

Le protagoniste dei film a luci rosse degli anni ’70 erano attrici dai nomi esotici: Dayle Haddon, Alice Arno, Francoise Zizi, eppure la presenza su alcuni di questi manifesti di star della Commedia sexy all’italiana, da Gloria Guida a Lory Del Santo (qui ancora chiamata Loredana) a Edwige Fenech, evidenzia quanto fosse sottile il confine tra sexy, soft porn e hardcore.

"È vero: all’epoca in cui scattai quelle immagini, mi stupiva veder apparire due volte la locandina dello stesso film nell’arco di poco tempo. Poi, l’illuminazione: si trattava di titoli che passavano alla censura e che venivano poi riproposti, in un secondo tempo, in forma integrale. Erano gli anni del ’vietatissimo’, ’supersexy’, ’superporno’, ’senza censura’: superlativi che amplificavano il messaggio di titoli dai contenuti già fin troppo espliciti, quasi grotteschi".

Quando è nato il suo amore per la fotografia?

"A Parigi, da studentessa, nel 1968: mi ritrovai nel pieno delle manifestazioni mosse dall’Accademie des Beaux Arts e rimpiansi di non avere in mano lo strumento per riprendere quello che stava accadendo. Rientrata a Napoli comprai la mia prima macchina fotografica e non l’ho più abbandonato".

A distanza di quasi mezzo secolo cosa ricorda di quei servizi? Com’è stato passare dai reportage su temi di lotta sociale a fotografare locandine di film porno?

"È stato altrettanto difficile (sorride, ndr). Ricordo che scattavo fugacemente, di sottecchi, a distanza di sicurezza. A volte sbucando dal tettuccio aperto della mia auto, fingendo di stare riprendendo altro. Perché poteva sembrare strano che una donna di trent’anni volesse immortalare quei poster scabrosi".

Che effetto le hanno fatto, come donna, quelle immagini di altre donne esposte, diciamo così, più che all’ammirazione (di cui è piena l’arte), a un desiderio da caserma? Donne libere o donne oggetto?

"Inevitabilmente è un senso di fastidio quello che posso dichiarare e che ben ricordo, anche a distanza di tanto tempo".

Lei, che pare laicamente disinvolta su questi temi, che ne pensa dei ’consumatori’ del genere? Li disprezza, li compatisce o sorride della difficoltà a convivere con determinati impulsi?

"La volgarità esplicita mi ha sempre fatto pensare a un desiderio di sottomissione della donna da parte dell’uomo-consumatore del prodotto pornografico. Sicuramente l’argomento ha sempre suscitato un grande interesse e andrebbe studiato e approfondito; di questo periodo si è detto molto poco... Tornando al mio giudizio, piena assoluzione? Non saprei, chiediamolo a Biancaneve".

 

 

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