Un uomo smarrito in una selva oscura e, alla fine, l’apparizione di una luce splendente, che rischiara tutto. È Un bagliore (La nave di Teseo, traduzione di Margherita Podestà Heir), il nuovo romanzo del Nobel per la letteratura 2023, il norvegese Jon Fosse, presentato ieri, a un giorno dall’uscita nelle librerie italiane, nell’ambito della XXV edizione della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.
Inevitabile il riferimento al capolavoro dantesco, di cui l’autore norvegese ha dichiarato di possere diverse edizioni nella sua libreria. "Ho studiato letteratura comparata, mi sono dedicato molto alla lettura della Divina Commedia e ho lavorato tanto per comprenderne il significato. Ma Un bagliore nasce da una pièce che avevo scritto precedentemente per il teatro e che poi ho deciso di trasporre in prosa".
Di certo, l’opera di Fosse, come quella del Sommo Poeta, è destinata a superare la prova del tempo. Le sue pagine ci interrogano sul senso dell’esistenza e sulla capacità dell’uomo di orientarsi, tra ragione e spiritualità; logica e irrazionalità. Il protagonista, rimasto con la macchina impantanata nel fango, ai margini di un sentiero dissestato, in una notte di neve, si addentra nel bosco: "Come era potuto venirmi in mente di trovare aiuto (…), in quella selva oscura, che razza di idea, no, era un errore chiamarla idea, era più una trovata improvvisa, una cosa del genere, che mi era balzata in testa così. Una sciocchezza. Pura follia".
Con il suo stile ritmato ed evocativo, contratto e introspettivo, Fosse, ancora una volta, ci consegna non un semplice libro, ma un mondo che avvolge il lettore in un’atmosfera rarefatta, di ombre e di luce. Un flusso incessante di pensieri, emozioni, paure,slanci, remore, sorprese. E lo fa in "una lingua silenziosa, che assomiglia alla lingua usata da Rothko nei suoi dipinti", ha detto ieri sera l’autore sul palco del Piccolo Teatro. Viso dolce, capelli raccolti in una coda argento e look total black, minimale come la sua scrittura, Fosse si dice perfettamente a suo agio con il tema di questa edizione della Milanesiana: la timidezza, "qualcosa che conosco molto bene". D’altronde, per sua ammissione, la scrittura non è che il "bisogno profondo di sfuggire dalla società".
Nato a Haugesund nel 1959, Jon Fosse è autore prolifico di romanzi, poesie, saggi e testi per bambini e scrive nella lingua “nynorsk”, della minoranza norvegese. Ha conquistato fama mondiale con le sue opere teatrali, venendo considerato erede di Beckett e Ibsen. Il suo nome compare nella lista dei cento geni viventi del Daily Telegraph e le sue opere sono tradotte in oltre quaranta lingue.
Il governo norvegese gli ha aperto le porte, per meriti letterari, della residenza di Grotten, nel cortile del Palazzo reale. Lo scorso 5 ottobre, l’Accademia svedese gli ha assegnato il Nobel per letteratura scrivendo, nelle motivazioni, di averlo scelto "per le sue opere teatrali e la prosa innovativa che danno voce all’indicibile".
Tuttavia, fino a pochi mesi fa, in Italia di Jon Fosse si parlava poco. È stata Elisabetta Sgarbi, fondatrice della casa editrice La nave di Teseo, a credere fortemente nel valore della sua scrittura, dando alle stampe alcuni dei suoi più bei romanzi: Mattino e sera (2019), L’altro nome. Settologia I-II (2021), Io è un altro. Settologia III-V (2023) e Melancholia I-II (2023).
"È un orgoglio, per me, pubblicare Fosse fin dai primi anni di vita della casa editrice. Ed aver portato in Italia Settologia, salutato come una delle opere letterarie più importanti di questo secolo", ha dichiarato Elisabetta a Sgarbi, facendo gli onori di casa nella serata di ieri.
Per l’occasione, poi, l’assessore comunale alla Cultura Tommaso Sacchi ha conferito allo scrittore norvegese la Pergamena della città di Milano, ringraziandolo per aver saputo toccare "le corde più autentiche e intime dell’animo umano" e definendo la sua timidezza e la sua sensibilità "un patrimonio prezioso che ci arricchisce e ci unisce".