Venerdì 26 Aprile 2024

La ragazza e l’orrore nazista di Sant’Anna

Morta a 96 anni Cesira Pardini, testimone simbolo della strage del 12 agosto ’44: salvò due sorelle, ne perse altre due e la mamma

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di Lorenzo Guadagnucci

Cesira Pardini, quando fu messa al muro con la madre, quattro sorelle (una neonata) e un’altra ventina di persone, aveva in mano una borsa con una bottiglia d’olio, che si versò mentre lottava con il soldato che la spingeva a forza verso l’esecuzione. Poco dopo la mitragliatrice fece fuoco e lei, pur ferita, ebbe la prontezza di aprire un portone alle sue spalle, trascinando con sé le sorelle Adele, Lilia e Maria, di quattro, dieci e sedici anni. Cesira, al tempo della strage di Sant’Anna di Stazzema, il 12 agosto 1944, aveva diciott’anni, prima di nove fratelli: se n’è andata ieri all’età di 96 anni, lasciando una preziosa testimonianza di vita, l’esempio di una giovane donna che in un lampo di lucidità salvò sé stessa e due sorelle da morte sicura, ma perse nella strage un’altra sorella (Maria, morta poco tempo dopo per le ferite riportate), la madre Bruna e la sorellina Anna, di appena venti giorni, la più giovane vittima di un eccidio che fece circa 400 vittime, per lo più donne e bambini. Dei 28 messi al muro nella frazione di Coletti si salvarono in quattro: le tre sorelle Pardini e Paolo Lencioni, bimbo di nemmeno un anno.

Cesira Pardini è stata una delle voci più importanti nella memoria pubblica della strage, specie dopo il processo al tribunale militare della Spezia, fra 2004 e 2005, chiuso con le condanne all’ergastolo per dieci ormai anziani ex appartenenti alle SS naziste, al termine di un dibattimento che cambiò la percezione pubblica dei fatti del 12 agosto 1944. Finì solo allora, a sessant’anni dai fatti, l’oblio caduto sull’eccidio fin dal primo dopoguerra.

All’indomani della strage, la gente di Sant’Anna si sentì abbandonata dallo Stato nella sua ricerca di verità e giustizia, mentre cresceva il rancore verso i partigiani, accusati – ingiustamente, come si capirà col tempo grazie alla ricerca storica – d’essere responsabili indiretti della strage e di avere abbandonato il paese alla sua sorte. Per decenni i superstiti di Sant’Anna – Cesira Pardini compresa – vissero il proprio dolore in solitudine e soprattutto nel silenzio. Non parlavano. Né in casa, né tanto meno in pubblico.

Siria Pardini, una delle sorelle di Cesira, raccontò all’antropologa Caterina Di Pasquale, autrice del libro Il ricordo dopo l’oblio (Donzelli 2010): "Noi non si parlava, neanche con il babbo, si veniva all’Ossario e basta. Non parlavamo né in famiglia, né con altri, tanto lo sapevano tutti di Sant’Anna, ognuno aveva avuto i suoi morti e allora a chi le si raccontavano queste cose?". Si taceva perché non c’era un ascolto adeguato, soprattutto da parte delle istituzioni. Non si erano cercati i colpevoli della strage, non c’era stata giustizia e si era così sedimentato un sentimento di abbandono, acuito dalla scoperta, negli anni ’90, del cosiddetto armadio della vergogna, con i fascicoli d’inchiesta sulle stragi nazifasciste volutamente accantonati dalla magistratura militare – su input politico – nel 1960 con un improbabile provvedimento, inesistente nella prassi giudiziaria, di “archiviazione provvisoria“.

Per decenni, lontano dalla Versilia, non si è saputo pressoché nulla dei fatti di Sant’Anna di Stazzema; le memoria pubblica non includeva quella che pure, in ordine di tempo, fu la prima di una serie di grandi “stragi eliminazioniste“ decise dall’occupante tedesco – con la collaborazione del fascismo repubblichino – per terrorizzare la popolazione e indurla a non aiutare le bande partigiane.

Poi, a dieci anni dalla “scoperta“ dell’armadio della vergogna, il nuovo procuratore militare della Spezia, Marco De Paolis, dimostrò che un’inchiesta si poteva fare nonostante il tanto tempo trascorso, che c’erano ancora imputati in vita e che i crimini si potevano e dovevano punire: lo Stato, finalmente, si assumeva il compito di ascoltare i sopravvissuti di Sant’Anna. Che ritrovarono la parola. Alcuni – silenziosi per decenni – parlarono in aula per ore.

Fra loro Cesira Pardini, che per età all’epoca della strage ed esperienza vissuta fu una delle testimoni più commoventi e significative. Impossibile dimenticare il suo racconto di quando vide la madre ormai morta con la piccola Anna, fra le braccia, ancora viva: "Ho aperto le braccia della mia mamma, era là così, e veniva su latte e sangue, quella bambina aveva la bocca tutta piena di sangue". La piccola Anna sarebbe morta il 4 settembre; l’altra sorella Maria, gravemente ferita, il 20 dello stesso mese.

Oggi è intitolato ad Anna Pardini il piazzale che accoglie chi arriva in automobile a Sant’Anna di Stazzema; un’intitolazione che è anche un monito e un invito alla riflessione: ricorda a tutti che la guerra, si può dire ogni guerra a partire almeno dal ’900, è innanzitutto una “guerra ai civili“, come gli storici hanno definito le stragi dell’estate del ’44.

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