Lunedì 6 Maggio 2024

La malinconia di Van Gogh vince sulla follia

Le lettere di Vincent al fratello Theo: sono un passionale che fa cose insensate di cui si pente. A Padova la grande mostra sul pittore

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"Sono un uomo passionale, incline a fare cose piuttosto insensate, di cui mi pento un po’...", scriveva Vincent van Gogh al fratello Theo.

"Van Gogh non era un pazzo o un maledetto come ce l’hanno sempre mostrato, soprattutto al cinema. Era un uomo tormentato, certo, un malinconico. C’era in lui tanto genio, ma poca follia: ai nostri tempi non sarebbe mai stato ricoverato in una clinica", dice convinto Marco Goldin, storico dell’arte e patron di Linea d’ombra, che al pittore olandese ha legato vent’anni di studi e alcune mostre blockbuster. È proprio sull’idea di un eroe in cammino, "che ha rubato il fuoco come Prometeo ma poi è caduto sulla Terra", che Goldin ha incardinato la mostra - evento Van Gogh. I colori della vita che dal 10 ottobre all’11 aprile 2021 (con alcune visite private esclusive già da oggi) si terrà al Centro culturale San Gaetano di Padova.

Sono 96 le opere in mostra, con 82 fra disegni e dipinti di Vincent, provenienti in particolare dalle collezioni del Kröller-Müller Museum di Otterlo, e un prestito eccezionale, l’iconico Autoritratto col cappello di feltro grigio dal Van Gogh Museum di Amsterdam.

Organizzare una mostra di questa portata in tempi di Covid e di restrizioni è "un disastro economico", ammette Goldin. Le precedenti antologiche dedicate a Van Gogh hanno contato fino a 500mila visitatori, ma per questa se ne prevedono non più di 130mila: gli accessi contingentati alle sale avverranno infatti per gruppetti di appena 15 persone ogni dieci minuti. "Chiunque altro avrebbe rinunciato al progetto, ma ho fatto prevalere l’amore per questo artista", aggiunge il curatore.

Di sala in sala si viaggia insieme a Van Gogh toccando i luoghi del suo cammino, fra il 1880 in cui, da predicatore laico, si era recato a portare la Parola fra i lavoratori della miniera di Marcasse (proprio i Minatori nella neve sono il suo primo acerbo disegno) e il 1890, anno in cui Vincent a luglio si sparò ad Auvers, pochi chilometri da Parigi.

Solo pochi giorni prima aveva dipinto il Covone sotto un cielo nuvoloso, squillante di gialli e di azzurri, che suggella la mostra.

Tutto il percorso è scandito dalle lettere che Vincent scriveva soprattutto al fratello: Goldin le ha studiate e raccolte ne L’autobiografia mai scritta, in uscita per La Nave di Teseo.

Accompagniamo Vincent fra i contadini di Etten e i suoi primi esercizi sulla figura anche nel ricordo del Seminatore di Millet e delle luci dei fiamminghi della Golden Age, poi all’Aia, dove l’ex prostituta Sien e sua madre posano per lui "con i vestiti adatti", e a Neunen fra tessitori e contadini, quei volti segnati dalla fatica che ritroverà nei Mangiatori di patate.

Quindi la svolta dei due anni a Parigi, le prime accensioni del colore, le nature morte con i fiori di campo e la veduta di Montmartre del 1887, la pittura di striscioline che rivela la ‘lezione’ di Signac e di Seurat, affiancati in mostra. E il 1888 di Arles in Provenza e l’amicizia tribolata con Gauguin che abiterà con lui per due mesi nella Casa gialla, fino al drammatico episodio del taglio dell’orecchio: qui Vincent vede i campi di grano della Crau battuti dal sole e il vigneto verde sotto un cielo pastoso, e con tinte straordinarie ritrae gli amici, il postino Joseph Roulin e il figlio Armand, e monsieur Ginoux che con la moglie (L’Arlesienne, nella versione proveniente dalla Galleria di arte moderna di Roma) gestiva il caffé sotto casa.

Si approda infine al 1889 in cui Van Gogh si fa ricoverare all’ospedale psichiatrico di Saint Rémy, in preda alle crisi, e dalla finestra con le sbarre realizza gli incredibili paesaggi che ci parlano del suo animo in tempesta. È l’ultimo atto di quel pittore che poi, attorno al 1957, Francis Bacon celebrerà in maniera potente, a partire da una tela ormai dispersa, Il pittore sulla strada di Tarascona, distrutta a Magdeburgo durante la Seconda guerra mondiale.

Il fuoco che si è portato via quel dipinto di Van Gogh è lo stesso che ha divorato lui. Per tutta la vita.

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