Giovedì 25 Aprile 2024

Mostra del Cinema di Venezia, Iñárritu: "Santo Fellini, proteggimi tu"

Il maestro messicano in gara con 'Bardo': "Non un’autobiografia, ma una biografia di emozioni e sogni"

'Bardo' è il titolo del film in concorso

'Bardo' è il titolo del film in concorso

Venezia, 2 settembre 2022 - Da sette anni ovvero dai cinque Oscar di Revenant, il regista messicano Alejandro González Iñárritu (Babel, Birdman) non faceva un film. Ieri è tornato: qui a Venezia, in concorso, con 'Bardo', falsa cronaca di alcune verità."È il primo film che giro in Messico, dopo tanti anni. Ed è il mio film più autobiografico", dice il cineasta, 59 anni. "Attraverso la storia di un giornalista messicano che vive in America, e attraverso i suoi sogni, racconto un po’ la mia storia".

Una storia intrisa di sogni, di svolte surreali del racconto, di tuffi repentini nell’assurdo.

"Ho tenuto presente la lezione di Luis Buñuel, di Jodorowsky, Roy Anderson. E Fellini: non c’è un regista che non sia stato infettato da Fellini così come nessun musicista può prescindere da Mozart o da Bach. Il suo cinema è quanto di più simile ai sogni esista. E spero che santo Fellini mi abbia protetto anche questa volta".

Un film estremamente autobiografico...

"Piuttosto è un film “emobiografico“: una biografia emozionale, che non pretende di essere “vera“, ma che vuole essere onesta. Un film liberatorio, per me, in cui racconto tante cose che stavano sepolte nel mio inconscio. Per tirarle fuori, ho avuto bisogno di molta incoscienza, di fare il film non con la ragione, ma con l’istinto".

Quanto è stato complesso, tecnicamente, mettere in scena i sogni del protagonista?

"Direi che Bardo è il mio film più difficile, più minuziosamente preparato dal punto di vista visivo. È come un balletto. Non c’è un’inquadratura, non c’è un movimento della camera che non siano studiati al millimetro".

Il film è prodotto da Netflix. Che rapporto ha con l’idea che possa essere visto a casa, magari con una visione interrotta da una telefonata?

"Prima di tutto, sono enormemente grato a Netflix che mi ha permesso di girare in Messico per quasi due mesi, e che mi ha dato una libertà creativa assoluta. E poi, se vado indietro con la memoria, io i film che mi hanno cambiato la vita li ho visti tutti in televisione: Bergman, Fellini, Buñuel. Non c’erano mica rassegne nei cinema d’essai che io potessi vedere. E probabilmente tutti noi registi siamo destinati a far vedere le nostre opere in tv, o nei telefoni, o fra dieci anni su uno schermo virtuale. Ma non per questo il cinema morirà, e non per questo morirà la sala, che del cinema è la cattedrale, o se si vuole l’utero materno, in cui lo spettatore deve prima o poi rientrare".

Ha vinto cinque premi Oscar, e non solo. Che rapporto ha col successo?

"Nel film c’è una frase di mio padre: “il successo avvelena“. Ed è così, perché il successo ha due conseguenze inevitabili: la tentazione all’orgoglio e il dolore causato dalla sua perdita. Per me, imparare queste due cose è stato un lungo cammino di apprendistato".

 

 

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