Giovedì 25 Aprile 2024

In delirio per Chalamet: "Ai social preferisco la vita"

A Venezia in gara l’attore con “Bones ad All“ di Guadagnino. Si scatena la folla di fan in coda dalla notte, scene di divismo d’altri tempi

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di Giovanni

Bogani

dDa anni – e il Covid non conta – non si vedevano scene come questa. Ragazzine in attesa, davanti al Palazzo del cinema, fin dall’alba di ieri. Molte lì già dalla notte. A mezzogiorno sono una popolazione, una piccola Glastonsbury, a sedere per terra o sugli asciugamani, gli ombrelli per ripararsi da un sole implacabile, le bottigliette d’acqua e le speranze di un selfie. Tutte per lui, Timothée Chalamet. Il divonon divo, che mette in guardia contro i social e dice: "Essere giovane ora – posso solo parlare a nome della mia generazione – significa essere giudicato intensamente, di continuo, crescere sotto l’assalto dei social media. Il crollo della società è nell’aria: è stato un sollievo interpretare personaggi che si fanno delle domande interiori senza andare su Twitter, Instagram o TikTok". Chalamet è il protagonista del film di Luca Guadagnino Bones and All, storia on the road ambientata negli anni ’80 che attraversa l’America più desolata: storia horror di cannibalismo ma anche, allo stesso tempo, storia d’amore fra adolescenti sbandati. Il film è in concorso alla Mostra, ed è diretto da Luca Guadagnino che rivelò Chalamet nel 2018 in Chiamami col tuo nome.

Ora, i pensieri delle ragazze che aspettano sotto il sole sono tutti per lui, Timothée. Il divismo? Dicevano che, con l’avvento dei social, fosse morto. Con i social che annullano la distanza fra noi – gli invisibili – e loro, le star. Con il fatto che le loro vite sono a disposizione, instagrammate minuto per minuto. Beh, non è vero. Il divismo esiste, anche al tempo dei social. E abbraccia un ragazzo di 26 anni americanofrancese che i social li usa in maniera molto parsimoniosa, mettendo solo rare immagini, magari un fotogramma di un film in bianco e nero – Metropolis, il capolavoro di Fritz Lang – o citando una poesia di Dylan Thomas. E che poi dice, dal palco delle conferenze stampa di Venezia: "Con i social media sei sempre sotto il giudizio degli altri: essere giovani oggi non è affatto facile. C’è chi pensa di trovare nei social la sua tribù: io, per fortuna, l’ho trovata in persone reali, in Europa, Israele, negli Stati Uniti, sui set dei film".

È delicato, fragile, leggero. Timothée sembra fatto di un altro materiale, rispetto ai Tom Cruise, ai Brad Pitt, ai Bradley Cooper che hanno infiammato l’immaginario dagli anni ’80 ad ora. Addio ai pettorali scolpiti: Timothée è fragile fin dal nome, il fisico è esilissimo, il viso è affilato e intenso, tratti più interessanti dei muscoli. Timothée ha rivoluzionato, con la sola sua presenza, l’idea tradizionale del macho, star del cinema. Il Guardian ha coniato, per lui, una parola: "Chalamania". E l’ha copiata subito l’autrice di un libro, che porta quel titolo. Sottotitolo: "50 ragioni per cui Timothée Chalamet è la perfezione". La perfezione dell’imperfezione, del dubbio, della grazia fané, degli occhi velati da una malinconia sottile. Un sex symbol crepuscolare eppure scanzonato, e dal look “fluido“ (ieri ha sfilato sul red carpet in tutina rossa brillante e schiena nuda), rubacuori ex fidanzato della figlia di Madonna e di quella di Depp e Paradis, Lyly-Rose, che ha stregato Venezia.

"Il film – dice Timothée – è una storia d’amore straziante, tragica, fortissima". E al fianco di Luca Guadagnino che chiama “papà“, Timothée si concede un momento estremamente personale: "Quest’anno ho perduto mia nonna, ed è stato difficile assorbire questa perdita". La nonna è una delle pochissime persone che appaiono più volte nei suoi post e nelle sue storie di Instagram. Chi lo ama lo sa, e lo ama anche per questo.

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