Sabato 27 Aprile 2024

Il Rocci e il greco, l’ossessione dei liceali

Settant’anni fa la morte del gesuita creatore del vocabolario. I ringraziamenti di Papa Pacelli per l’opera e l’incontro in cui beffò Mussolini.

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di Roberto Giardina

Il vocabolario di Lorenzo Rocci “Greco-Italiano” ha accompagnato per cinque anni generazioni di italiani. Quelli del classico, obbligati a studiare greco antico. Un oneroso privilegio. Era strumento di cultura e, probabilmente, causa di giovanile scoliosi. Quanto pesava nella mia cartella, insieme con gli altri testi?

Bastava “il”, seguito dal cognome, nessuno lo chiamava per nome. L’autore era Lorenzo Rocci, padre gesuita, scomparso esattamente 70 anni fa, alla vigilia del Ferragosto del 1950. Eppure, a scuola i professori non ce lo dissero, anche se i miei erano gesuiti come lui, al Gonzaga di Palermo, poi al Massimo di Roma (da esterno). Chissà perché.

La versione dal greco in classe era la prova più temuta, sempre un’incognita, a parte per pochi compagni, i più dotati, invidiati e detestati. Amavamo “il” Rocci, chiunque fosse, generoso di spiegazioni. A saper cercare si trovano esaurienti spiegazioni, e spesso citato l’intero brano da tradurre. Almeno la sufficienza era salva. Grazie al Rocci. Il volume lasciava spazi bianchi, un’impaginazione elegante che avrà aumentato il peso, ma offriva la possibilità di inserire brevi note personali di grammatica, regole che avremmo dovuto sapere a memoria. I professori sequestravano “il Rocci” a chi barava troppo.

A me capitò di peggio. Il professore di terza liceo pretese che si traducesse senza vocabolario: "Dopo anni di studio, dovreste farne a meno". Niente Rocci? Una provocazione, e un’umiliazione. Voti pessimi allo scritto, ma all’orale chiedeva solo qualche verso a memoria in greco antico, quel che ci pareva, e ci compensava con un dieci, che in media ci portava al sei: "Quando sarete adulti, voi del classico, sarete uguali a un contadino, a parte qualche verso imparato a scuola".

Oggi, con il politically correct non la passerebbe liscia, ma intendeva il contrario, siamo tutti uguali, e ci insegnò a gustare la bellezza dei classici greci, dimenticando il mistero degli aoristi, svelati dal Rocci. E aveva ragione lui, chiedendo scusa ai contadini.

Lorenzo Rocci era nato a Fara Sabina, una quarantina di chilometri a nord di Roma, l’11 settembre del 1864. Una biografia piena di incognite e di forse. Il padre Domenico era originario di Perugia, o forse di Piacenza. Emigrato nel Lazio sposò una bella ragazza, nata a Roma, o forse a Fara, Eustochio Corradini. Eustochio… perché mai la battezzarono con il nome della Santa patrona degli esorcisti? La famiglia era modesta, il padre artigiano, ma forse di nobili origini piacentine. Lo stemma di famiglia mostra un’aquila nera in campo d’oro, in volo su grappoli d’uva viola e tralci rossi.

Lorenzo andò in seminario a Roma. Nel ’39, mentre l’Europa era in guerra, terminò il dizionario dopo vent’anni di lavoro. Ne inviò una copia a Pio XII, che lo ringraziò con una lunghissima lettera: "… ne ammiriamo la mole... proviamo particolare soddisfazione nel vedere con quanto cura vi siano registrate le voci…". Papa Pacelli la pensava come noi studenti.

Padre Lorenzo portò personalmente il volume a Benito Mussolini a Palazzo Venezia, e da abile gesuita sfruttò il nazionalismo del Duce: "Eccellenza, finalmente questo mio vocabolario potrà sostituire le opere di inglesi e di tedeschi". Benito, che non aveva fatto il classico, batté il pugno sul tavolo e esclamò: "Bene, ora tutta l’Italia avrà il Rocci". Probabilmente non è vero, ma fu adottato da tutte le scuole e anche all’estero, perfino in Germania. Perché era il migliore. Mi chiedo quanto avrà fruttato in diritti d’autore. Agli eredi o all’ordine?

Efharistó, grazie in greco antico, Padre Lorenzo, indimenticato “il Rocci” del mio liceo.

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