Venerdì 26 Aprile 2024

Solo il 3% degli ecosistemi mondiali è intatto

Un nuovo studio vede al ribasso la percentuale di aree naturali ecologicamente intatte: alcune conclusioni sono discusse degli scienziati, ma l'allarme resta

Gli ecosistemi intatti sono sempre più rari

Gli ecosistemi intatti sono sempre più rari

Roma, 15 aprile 2021 - Un recente studio scientifico pubblicato su Frontiers in Forests and Global Change suggerisce che al mondo solamente il 3% degli ecosistemi si è mantenuto ecologicamente intatto, con le specie vegetali e animali indisturbate all'interno del loro habitat naturale. Si tratta di una percentuale drasticamente inferiore a quella precedentemente accettata dalla comunità scientifica, che si assesta attorno al 20%, e questo fatto ha spinto alcuni esperti ad avanzare perplessità, pur senza negare la gravità della situazione a livello globale.

Come è stato stabilito che solo il 3% degli ecosistemi è intatto

Il team di scienziati capitanato da Andrew J. Plumptre è partito da una considerazione: gran parte dei calcoli precedenti sulle aree naturali intatte si basa su osservazioni satellitari. Queste ultime, però, non sono adatte a misurare la popolazione delle specie animali che sono fondamentali all'equilibrio di un ecosistema. In sostanza: guardate dall'alto, foreste, tundra e savana possono apparire intatte, ma rischiano di non esserlo se mancano determinati animali. Per esempio gli elefanti, che sono essenziali per diffondere semi e creare radure nelle foreste, oppure i lupi, in grado di controllare la popolazione di cervi e alci. Facendo leva su questa premessa, i ricercatori hanno incrociato i dati ottenuti dai satelliti con le mappe dei danni apportati dall'uomo agli habitat naturali e con ulteriori mappe indicanti i luoghi in cui la popolazione animale si è ridotta o è scomparsa. Il risultato è appunto che solo il 3% degli ecosistemi risulta intatto: si trovano in gran parte nelle foreste tropicali del Congo e dell'Amazzonia, nel deserto del Sahara, nella siberia orientale e nel Canada settentrionale.

I dubbi della comunità scientifica

Le conclusioni di Andrew J. Plumptre e soci sono state messe in discussione da alcuni colleghi, sostanzialmente per due ragioni entrambe legate alle mappe relative alla distribuzione della popolazione animale: non sarebbero attendibili come testimonianza della situazione secoli fa e non terrebbero conto della crisi climatica, che sta modificando gli habitat delle specie, causando spostamenti anche significativi da un luogo all'altro. Ovviamente, le critiche non affermano che il fenomeno nel suo complesso non è grave: si limitano a ipotizzare che il 3% sia una stima troppo bassa e siano più credibili cifre vicine al 20%.

Come risolvere il problema?

Resta comunque valido il suggerimento avanzato da Plumptre e dai suoi colleghi firmatari: ecosistemi danneggiati potrebbero essere riportati a uno stato ottimale con l'inserimento mirato di alcune specie animali specifiche di quelle aree, per esempio i già citati elefanti e lupi. Basterebbe un piccolo numero, dicono gli studiosi, e potremmo incrementare la percentuale dal 3 al 20%. Un discorso che non pensa esclusivamente alla conservazione della natura selvaggia, perché è cosa nota che la progressiva scomparsa di animali, quella che gli scienziati chiamano sesta estinzione di massa, porterebbe serissime conseguenze agli esseri umani, privandoli di numerose risorse di cibo, acqua potabile e aria pulita.

 

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