Sabato 27 Aprile 2024

Debolezze e vanità, l’enigma dell’ultimo Kaiser

In mostra nella città del suo esilio le testimonianze delle smanie conquistatrici. Ma sulle colpe di Guglielmo II gli storici sono divisi

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di Roberto Giardina

Fuggì precipitosamente in Olanda nel novembre del 1918, l’ultimo Kaiser Guglielmo per evitare l’arresto come criminale di guerra. Gli olandesi gli concessero asilo e rifiutarono di consegnare l’imperatore ai vincitori, inglesi e americani, e soprattutto ai francesi ansiosi di vendicare la sconfitta e l’umiliante trattato di pace imposto da Bismarck nel 1870.

Il Kaiser, costretto ad abdicare, trovò rifugio a Huis Doorn, casa Doorn, una grande tenuta nei pressi di Utrecht. Continuò a ricevere ospiti, non tutti graditi, e passò il tempo a piantare alberi e abbatterli, per oltre vent’anni, fino alla morte nel giugno del ’41, quando poteva credere che la Germania di Hitler stesse per compiere la rivincita, e realizzare il sogno di dominare l’Europa. Adesso a Huis Doorn si apre una grande mostra che lo ricorda, negli 80 anni dalla scomparsa. E si fa un bilancio.

La storia la scrivono i vincitori, sarebbe inutile ricordarlo, ma veramente fu tutta colpa di Guglielmo, e dei tedeschi, responsabili della morte di 40 milioni di esseri umani? Ne sembra convinto il curatore della casa museo e della mostra Marinus von Santen. Nelle sale sono esposti oggetti che ne provano l’indole, la sedia del suo studio a forma di sella, si voleva sentire sempre un condottiero, una vasta collezione di soldatini, i testi di strategia nella sua biblioteca, un pesante fermacarte con due blocchi di granito presi dalla tomba del colonialista britannico Cecil Rhodes, una testimonianza della sua smania conquistatrice. Ma aveva finanziato la ferrovia che avrebbe unito Berlino a Baghdad, alla Mesopotamia, l’odierno Iraq, per unire l’Oriente e l’Europa. Gli storici moderni in parte lo assolvono, ne relativizzano le colpe, come Christopher Clark nel saggio I sonnambuli edito in Italia da Laterza (2013).

Cento uomini, tutti anziani, scrive, trascinarono il mondo in guerra. Sarebbe bastata una seduta dal professor Freud per scongiurare il conflitto, una battuta rivelatrice. Erano maschi legati all’Ottocento, a un mondo che stava per scomparire. E tra loro Guglielmo. Una figura complessa, anche sotto l’aspetto psicoanalitico, legato da un morboso complesso di amore odio con la madre, Vicky, una delle figlie della Regina Vittoria. Nel gennaio del 1859, per partorire Vicky chiamò a Berlino un medico britannico, che si dimostrò incapace. Madre e figlio rischiarono di morire, e il piccolo Wilhem riportò a causa del forcipe la paralisi del braccio sinistro. Un’umiliazione per un imperatore guerriero che sarebbe stato riformato se mai avesse dovuto essere arruolato. Diede sempre la colpa alla mamma.

Un rapporto di amore odio anche verso la Gran Bretagna, che continuò ad amare, a sfidare, e detestare. Volle competere con la potenza navale britannica, ma sfidava gli inglesi nelle regate con il suo yacht costruito nei cantieri del “nemico“. Quando la Regina Vittoria stava per morire, corse a Londra al suo capezzale, allontanò il cugino Bertie, che stava per salire al trono, come Edoardo VII, e volle che la nonne spirasse tra le sue braccia. Wilhelm era un Hohenzollern ed anche un Coburgo, come Vittoria, e l’ultimo Zar Nicola, aveva sposato la principessa Alessandra, un’altra nipotina della regina. Quando nel maggio 1913, a Berlino si sposò sua figlia Viktoria Louise, il Kaiser invitò i parenti Coburgo, che sedevano ormai su quasi tutti i troni d’Europa. Si temeva la guerra, ma Wilhelm proclamò "Das Blut ist kein Wasser", il sangue non è acqua, non ci sarà una guerra tra noi parenti. Ma ormai il sangue blu contava sempre meno.

Difficile quantificare le colpe, forse fu più responsabile Francesco Giuseppe. Gugliemo aveva una personalità fragile e contraddittoria, autoritaria eppure influenzabile. Prima fu contrario a Vienna, poi a un tratto cambiò idea, e pretese di guidare il suo esercito. Autorizzò l’uso dei gas sul fronte francese, presto impiegati da tutte le potenze in guerra, e negli ultimi giorni incitò i suoi generali a resistere con tutti i mezzi, ed esclamò "Non fate prigionieri". Una frase che l’avrebbe potuto far condannare.

Dopo la disfatta, diede la colpa agli ebrei traditori, e li avrebbe voluti sterminare, ma dopo la notte dei cristalli, il 9 novembre del ’38, quando vennero date alle fiamme le sinagoghe, dichiarò: "Oggi mi vergogno di essere tedesco". Ai suoi discendenti, gli Hohenzollern, dopo l’ultima guerra vennero confiscate le proprietà, perché complici di Hitler, come i Coburg. Hitler tentò di sedurre l’imperatore in esilio, e inviava a Doorn messaggeri con proposte sempre più allettanti: lo avrebbe riportato sul trono, se fosse tornato in patria.

Non si lasciò convincere. Ai suoi funerali a Doorn parteciparono diversi gerarchi nazisti, e sventolarono le bandiere con le svastiche, ma Guglielmo aveva vietato che il suo corpo venisse tumulato a Berlino, finché la Germania non fosse tornata una monarchia. Mentre era Cancelliera Frau Angela, è stato ricostruito il suo castello, bombardato dagli alleati, poi raso al suolo dai sovietici. Un falso storico che non sarebbe piaciuto all’ultimo Kaiser.

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