Lunedì 7 Ottobre 2024
ANDREA CIONCI
Esteri

La colonna romana in Giappone. "Onoriamo i piccoli samurai"

Il suicidio rituale delle “Tigri bianche” che commosse Mussolini

La colonna romana inviata dall'Italia nel 1928 sul monte Limori come tributo

La colonna romana inviata dall'Italia nel 1928 sul monte Limori come tributo

Tokyo, 11 luglio 2017 - Dell'antico rapporto di amicizia fra Italia e Giappone sappiamo poco, dato che molte storie straordinarie vissute dai due paesi sono state obliterate dalla censura del dopoguerra. Una delle vicende più affascinanti, riguarda l’antica colonna romana che l’Italia donò al Giappone nel 1928 per celebrare il sacrificio – eroico, quanto inutile – dei giovanissimi guerrieri del Byakkotai.

Nel 1868, il paese del Sol levante è dilaniato dalla guerra civile “Boshin” tra i clan seguaci dello shogun (dittatore militare) Tokugawa e quelli dell’Imperatore Meiji. Il signore di Aizu, Matsudaira, fedele allo shogun, schiera – divise per fasce d’età – quattro brigate. Quella più giovane, “la Tigre bianca” (Byakkotai), è composta da ragazzi fra i 14 e i 17 anni figli dei più importanti samurai del clan.

La battaglia decisiva si svolge svolge intorno ad Aizu, sull’appennino giapponese. I samurai di Matsudaira sono costretti ad asserragliarsi nel castello ma, durante le manovre, venti ragazzi della Tigre bianca rimangono dietro le linee nemiche e si rifugiano sul monte Iimori. Da lì osservano, con sgomento, levarsi una colonna di denso fumo dal castello del loro signore. Credendo che tutto sia perduto, optano per la soluzione più onorevole, secondo l’etica guerriera del Bushido: il suicidio rituale, tramite seppuku. Con le loro katane si aprono il ventre e alcuni si decapitano a vicenda. Molti rimangono agonizzanti per diverse ore e i loro corpi saranno lasciati insepolti dal nemico. Spiega il diplomatico Mario Vattani, autore del recente e fortunato libro “La via del Sol levante” (edito da Idrovolante): «Fu un tragico errore: il fumo non proveniva affatto dal loro castello, il quale resistette ancora quattro settimane. Erano state le stesse truppe di Matsudaira a incendiare alcune case all’esterno delle mura, a scopo difensivo».

La storia di questi ragazzi giunse in Italia grazie ad Harukichi Shimoi, poeta proveniente da una antica famiglia di samurai, totalmente innamorato della cultura italiana e profondo interprete del legame estetico-spirituale che univa, allora, le due culture. Basso di statura, Shimoi aveva un coraggio da leone. Trasferitosi in Italia per imparare l’italiano e insegnare il giapponese, nel 1918 si arruola fra gli Arditi, per combattere al fronte e vivere l’esaltante esperienza della vittoria italiana. In questo corpo d’élite, conosce Gabriele D’Annunzio (a sua volta fanatico ammiratore della cultura nipponica) del quale diventerà grande amico e che seguirà nell’impresa di Fiume. Qui, il passaporto diplomatico consente a Shimoi di passare le linee e di portare la corrispondenza di D’Annunzio a Mussolini, in quel periodo direttore de “L’Avanti”.

Il futuro Duce è molto interessato al piccolo messaggero del Sol levante il quale, dal canto suo, gli racconta non solo dell’etica guerriera dei samurai, ma anche degli incredibili progressi che il suo paese ha compiuto nel mettersi al pari delle potenze occidentali.

Arriviamo dunque al 1928: il Giappone è in fermento per un matrimonio dal forte peso simbolico: quello fra il principe Chichibu, fratello cadetto dell’imperatore Hiroito, e la principessa Setsuko Matsudaira, nipote del daimyo sconfitto nella famosa battaglia di Aizu. Shimoi fa, così, circolare sulla stampa e negli ambienti letterari la storia dei “bianchi tigrotti” che considera idealmente molto vicina alla tradizione dell’antica Roma.

Mussolini, divenuto capo del governo, si convince ad inviare in Giappone un tributo romano-italiano allo spirito del Bushido: lo scultore Duilio Cambellotti realizza una splendida aquila di bronzo, colta nell’atto di spiccare il volo con le ultime forze. Il rapace poggia su una colonna proveniente dalla villa di Pompeo ad Albano. Grazie all’infaticabile Shimoi, l’opera parte per il Giappone dove viene montata sul monte Iimori, proprio dove i giovani guerrieri si tolsero la vita. Fu così che il tributo italiano, sancì, a livello internazionale, la definitiva riconciliazione del Giappone, restituendo l’onore alle Tigri bianche del Biakkotai.