Mercoledì 16 Luglio 2025
MONIA SAVIOLI
Esteri

"Io, crocerossina italiana, tra le Peshmerga in Iraq"

Fulgida Barattoni al campo militare di Sulaymanyah: "Combattono a Mosul, mangiano solo legumi, ma non rinunciano al fondotinta"

Fulgida Barattoni tra le peshmerga in Iraq

Roma, 17 marzo 2017 - Il cibo è poco, qualche vegetale e pochi legumi. La carne è un lusso che non si affaccia neppure alla mensa delle "guerriere" del Kurdistan, le Peshmerga, mentre il freddo di dicembre penetra ovunque, invadendo ogni piccola fessura degli alloggi precari quanto scomodi. Fulgida Barattoni, ravennate di Fusignano, ex presidente di IPB-Italia e crocerossina per vocazione, ha trascorso più di un mese fra loro nel campo militare della città di Sulaymanyah, situata nella zona nord-occidentale dell'Iraq verso i confini con l'Iran per formare un gruppo di istruttori di primo soccorso. "Ero in Italia e guardando la TV - racconta - vedevo immagini di soldati feriti a Mosul che venivano trascinati brutalmente per le gambe e per le braccia e frettolosamente caricati su auto di fortuna per essere portati in ospedali distanti un paio di ore tanto che i feriti per lo più giungevano a destinazione già morti. La mia formazione di più di 30 anni di “crocerossina” mi ha impedito di restare indifferente e forte degli ottimi contatti da anni intrattenuti con le istituzioni kurde ho preso il primo volo verso l'Iraq".

Lì la situazione è apparsa ancora più dura. All'esercito kurdo mancano i supporti sanitari basilari. Mancano le bende, i kit medici, il personale ed i mezzi in grado di assistere i feriti nelle fasi di posizionamento e ritirata. Tutto resta bloccato a Baghdad. "La frammentazione culturale e politica dei popoli che abitano l’Iraq fa si che ai soldati Peshmerga “che sono kurdi” non arrivi nulla di tutte le donazioni che le Società Nazionali di Croce Rossa mandano al magazzino dell’ ICRC “Comitato Internazionale di Croce Rossa” che mi dicono essere uno dei più forniti - racconta Fulgida Barattoni.

"A quel magazzino attinge la Società Nazionale di Mezzaluna Rossa Irachena di Baghdad che usa i materiali non per aiutare i soldati che combattono ma per sostenere i rifugiati che riparano in Iraq dopo la chiusura della via balcanica attraverso la Turchia. La prima Convenzione di Ginevra impone l’obbligo di soccorrere i soldati feriti sul campo di battaglia. A molte alte istituzioni ho chiesto allora come mai ai soldati Peshmerga non viene dato nulla, perchè le ambulanze e il personale medico e paramedico vengono affiancati ai soldati solamente durante le fasi di “attacco” mentre nelle fasi di posizionamento o ritirata non c'è nessuno a soccorrere i soldati che rimangono feriti. Mi hanno risposto che “non ci sono soldi”, che il governo di Baghdad non manda da più di un anno i fondi federali al KRG, il Governo Regionale del Kurdistan. Da un anno e mezzo i dipendenti pubblici e gli insegnanti non ricevono gli stipendi. Le scuole di Sulaymanyah sono chiuse da mesi. Nella zona di Erbil invece, anche se non pagati, gli insegnanti tengono le scuole aperte. I motivi che muovono tutto questo sono complessi e interni alla storia del popolo kurdo incastonato in questa porzione di Iraq, paese in cui la democrazia ha ancora un lungo cammino da fare".

Fulgida Barattoni è tornata in Italia mentre i corsi di primo soccorso a Sulaymanyah continuano. Le istruttrici da lei formate stanno organizzando corsi per altri gruppi dove la partecipazione è estesa anche ai colleghi uomini. "Nel mese che ho trascorso con le guerriere curde ero una privilegiata perché a pranzo mangiavo con le Peshmerga ufficiali e di sera con la “truppa”. La loro mensa è molto povera di proteine, minerali, vitamine. Praticamente niente carne e niente frutta, solo una salsa di pomodoro con legumi oppure uno zucchino o una patata con contorno di riso, a pranzo e a cena. Per rendere sopportabile la vita al campo - racconta - le militari seguono turni di 4 giorni di servizio e di 8 giorni di riposo a casa per riprendere le forze. Nel giorno di paga è impressionante vedere quanti bambini accompagnano le loro mamme soldatesse allineate in fila fuori dal comando. Combattono a Mosul e a casa hanno figli e mariti - continua.

"Vengono addestrate dai soldati della coalizione KTCC - Kurdish Training Coordination Center - ad usare le armi, sminare, ad organizzare gli attacchi. Ma sotto gli scarponi hanno le calze ricamate. Nei momenti di riposo alcune si pettinano, cambiano il taglio dei capelli, altre si colorano le ciocche, si fanno le treccine, si cotonano a rasta. Ogni occasione è buona per sentirsi donne. A volte per il freddo intenso rinunciano a lavarsi ma non a stendere il fondotinta, diradare le sopracciglia, marcare gli occhi. Per loro è fondamentale. A volte mettono anche capelli posticci per infoltire le chiome. Poi indossano anfibi e passamontagna, imbracciano il fucile e vanno a combattere, maneggiando granate e strisciando dietro cumuli di terra". Monia Savioli