Giovedì 3 Ottobre 2024

Chi è l’iraniana Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023. Paladina dei diritti nel carcere degli orrori

L’attivista è nel famigerato istituto penitenziario di Evin: condannata complessivamente a 30 anni per le sue battaglie contro il regime. L’ultima protesta in cella nell’anniversario della morte di Mahsa Amini

Oslo, 6 ottobre 2023 – Il premio Nobel per la Pace è stato vinto da Narges Mohammadi, attivista iraniana per i diritti delle donne, attualmente in carcere. Mohammadi, 51 anni, si trova nella famigerata prigione di Evin, dove finiscono gli oppositori politici e nota per i costanti abusi sui detenuti. Mohammadi viene premiata per "la sua lotta contro l'oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti", sono le parole usate Berit Reiss-Andersen, capo del Comitato norvegese dei Nobel a Oslo, che ha annunciato oggi l'assegnazione del prestigioso riconoscimento.

Narges Mohammadi, 51 anni, è in carcere a Evin (Ansa)
Narges Mohammadi, 51 anni, è in carcere a Evin (Ansa)

Una per tutte: il premio per Mohammadi, è anche “un riconoscimento alle centinaia di migliaia di persone (la maggioranza donne ndr) che hanno protestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico”.

Nei giorni scorsi l’ultima ribellione: proprio dal carcere, Narges è riuscita a promuovere una protesta insieme ad altre detenute che come lei hanno bruciato i veli. Lo ha fatto nell’anniversario della morte di Mahsa Amini e poche ore dopo l’ultimo caso di violenza brutale del regime ai danni di una donna,  quello della 16enne Armita Geravand, in coma dopo essere stata picchiata domenica scorsa dalla sorveglianza della metropolitana di Teheran perché non indossava il velo.

Arrestata 12 volte, condannata a 30 anni

Mohammadi è vice-presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, che finché ha potuto ha difeso i prigionieri politici e di coscienza nei procedimenti giudiziari. Da sempre sostenitrice dell’abolizione della pena di morte in Iran, ha portato avanti battaglie radicali mai annacquate dalla paura della repressione, tra cui quell contro la legge che obbliga le donne a indossare lo hijab che lo scorso hanno ha portato centinaia di migliaia di iraniani in piazza. 

Ha sempre pagato un prezzo alto. E’ stata arrestata 12 volte, condannata complessivamente a 30 anni di carcere, oltre alle tante frustate. L’ultima sentenza del 2022 prevede “otto anni di reclusione, 2 di esilio e 74 frustate”. La malattia neurologica di cui soffre, che causa sintomi gravi da convulsioni e embolia polmonare, non le ha evitato le torture. 

Dalle battaglie contro la tortura bianca al caso Amini

Negli anni ‘90 la dissidente sostiene la campagna elettorale del riformista Mohammad Khatami, comincia ad entrare e uscire dal carcere. Aderisce al Centro Defensor of human rights fondato dall’avvocato e premio Nobel Shirin Ebadi, nel 2011 viene condannata a 11 anni di carcere per aver “cospirato contro la sicurezza nazionale”. Entra ad Evin la prima volta nel maggio 2015 dopo una campagna contro la tortura bianca, viene trasferita 4 anni dopo, rilasciata e poi incarcerata nuovamente nel 2022. 

E’ sposata con il giornalista dissidente Taghi Rahmani, che dopo 14 anni di carcere ora vive in Francia con i loro figli gemelli. "Ogni tanto ho provato a dirle di calmarsi, ma è dalle sue carcerazioni che lei trova la linfa vitale per andare avanti”. Dalla prigione scrive continuamente appelli chiedendo giustizia sul caso Mahsa Amini. In uno di questi diffuso nei giorni scorsi racconta di come nell’anniversario della morte della ragazza, il 16 ottobre, il carcere di Evan si sia trasformato in un campo di battaglia.