Lunedì 6 Maggio 2024

Meloni-Salvini, scoglio sul Viminale. La Lega avrebbe ventilato l'appoggio esterno

Primi attriti sulla strada per la formazione del nuovo governo. Giorgia tira dritto: "Resto ottimista"

Matteo Salvini e Giorgia Meloni

Matteo Salvini e Giorgia Meloni

Roma, 29 settembre 2022 - L’incontro tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini si svolge in territorio neutro, che poi tanto neutro non è. Siamo alla Camera dei Deputati, e va bene, ma l’ufficio è quello della Meloni e di FdI, al primo piano di palazzo Montecitorio. Del resto, l’ospite – nel senso di ospitante – è lei, la presidente del Consiglio in pectore. L’ospite – nel senso di ospitato – è lui, il leader della Lega. E sarà anche (e ancora? Ma chissà per quanto) il Capitano, ma lei sta per diventare generale, anzi meglio: comandante in capo dell’esercito alleato. L’incontro, formalmente, è andato "benissimo", recitano le note (ufficiali), in realtà va malissimo.  Salvini punta i piedi e non sente ragioni: vuole il Viminale per sé (prima opzione) o per un uomo di sua stretta fiducia (seconda opzione). Lei resiste. Salvini, in caso di mancato accoglimento della richiesta (Interni), minaccia l’appoggio esterno. I toni non sembrano distesi, anzi. Questo si dice, anche se poi, fuori, è tutto un "sopire e troncare": "il clima è stato di grande unità e collaborazione", dicono entrambe le fonti. "Meloni e Salvini hanno fatto il punto della situazione e delle priorità e urgenze all’ordine del giorno del nuovo governo e del Parlamento", proseguono le note. 

Salvini, del resto, ha iniziato (male, malissimo) la giornata. "Ci vuole qualcuno che torni a difendere e proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza in Italia. Qualche idea ce l’abbiamo", scrive su Twitter. Il suo capogruppo uscente alla Camera, Riccardo Molinari, va, di mattina presto, negli studi di Agorà (Rai 3), per dire, in sostanza, che "la Lega deve avere tutto quello che chiede". A Roma si dice "le cucuzze e tutto il cucuzzaro". Traduzione: il Viminale, per Salvini medesimo, un ministero (a scelta) per Roberto Calderoli – che, in alternativa, pretende la presidenza del Senato, altrimenti minaccia "sfracelli" (ma nella Lega) – e molti altri ministeri ai suoi fedelissimi. Il che, oggettivamente, è troppo, per la Meloni.

Il guaio è che, con la premier in pectore, Salvini va reclamare sempre quel posto lì, il Viminale. Non per sé, ma per la Lega: fa anche un nome, oltre al suo, quello di Nicola Molteni, già sottosegretario agli Interni, un suo fedelissimo. Il risultato delle urne e gli attacchi di dirigenti storici, come Roberto Castelli e Roberto Maroni, hanno messo in difficoltà il segretario. Calderoli, se non avrà quello che chiede, minaccia Salvini di passare "all’opposizione", cioè coi governatori del Nord che, come sia, gli vogliono fare le scarpe e, presto o tardi, gliele faranno pure. «Alza la voce, ma non chiedere solo per te» è, del resto, la sveglia presa dal Capitano in consiglio federale. 

Lui, dunque, si difende attaccando. Con Meloni ci parla eccome, di ministeri. Resta sul tavolo l’ipotesi di due vicepremier, Tajani e Salvini, ma il segretario leghista ha una priorità: il Viminale. «Si parte da qui per coinvolgere la Lega al governo», è il ragionamento di Salvini a Meloni, "altrimenti, vediamo...". La frase è lasciata lì, sospesa, ma si traduce con "appoggio esterno". Giorgia strabuzza gli occhi, quasi non ci crede. 

In più, Salvini chiede anche un altro ministero di peso. Quello della Giustizia, dove la candidata è Giulia Bongiorno. O gli Esteri. Oppure il Mise. Insomma, Salvini presenta richieste "importanti", alla Meloni, "oltre quelle che le percentuali prese nelle urne giustificherebbero", sospirano fonti parlamentari del centrodestra e di tutti i partiti. Alzare l’asticella è un modo per trattare meglio? Forse, ma «se si mette di traverso così rischia di inceppare tutto", osserva un azzurro in transito. Non che, dentro FI, non siano altrettanto esosi. Antonio Tajani vuole la Farnesina o la presidenza della Camera o il ruolo di vicepremier. Ma se già un vicepremier unico (Salvini) sarebbe un modo per cinturare il governo, due (più Tajani) sono di troppo. Giorgia, dopo l’incontro, torna in via della Scrofa e si chiude, per fare il famoso punto quotidiano, con i suoi più stretti collaboratori. Intercettata dalle tv, ma fedele alla consegna del "silenzio" – che ha imposto all’intera FdI - si limita a dirsi "ottimista" perché "mi ha portato fin qui". Ma, dopo l’incontro con Salvini, tanto ottimista non è.