Venerdì 26 Aprile 2024

Leader donna? Mission impossible. Il vecchio tabù della sinistra italiana

La lezione della destra con Giorgia Meloni che potrebbe essere la prima premier repubblicana. Forse è lo choc che serve ai progressisti per mettersi al passo con gli altri paesi europei

Nilde Iotti (1929 - 1999)

Nilde Iotti (1929 - 1999)

Giorgia Meloni continua a far parlare di sé. Nel bene e nel male. Nel momento in cui scrivo su Twitter sono in tendenza due hashtag, #devianza e #stupro, che rimandano il primo a un suo discutibile video dove parla dei giovani e il secondo allo sconcertante uso che ha fatto del filmato di uno stupro per la sua propaganda antiimmigrati. Azione e reazione, comunque si parla di lei. Ma a far parlare di lei continua ad essere anche una sorta di scandalo: in un paese maschilista, dove la politica è soprattutto affare di maschi, a un mese dalle elezioni ci troviamo di fronte alla possibilità di avere a breve un Presidente del Consiglio donna, ma di destra! E di una destra patriarcale, non certo sensibile ai nuovi diritti e alle dinamiche di una società aperta e progressista. Cortocircuito! E così la riflessione collettiva avanza, sui social e dalle pagine dei giornali – gli ultimi interventi a tal proposito sono di Concita di Gregorio e Lucetta Scaraffia – e porta a interrogarsi sulla sinistra: perché a sinistra non emergono personalità femminili con profilo e statura di leader?

Il tema non è nuovo. Più di dieci anni fa, la psicologa Donata Francescato, all’epoca ordinaria della Sapienza di Roma, aveva condotto una ricerca sulle attitudini delle parlamentari italiani, dalle quale emergeva tra quelle di sinistra una notevole ritrosia di fronte alla possibilità di assumere ruoli di primo piano, ben superiore a quella riscontrabile nel centrodestra. D’altro canto, la storia della sinistra italiana, che ha le proprie radici in un partito comunista bigotto e sempre in ritardo nelle battaglie per la conquista dei diritti ‘borghesi’, è una storia quasi esclusivamente al maschile. Con alcune donne di spessore, ma mai di reale potere. Nei tempi più recenti, vi sono state tante donne nella cosiddetta Seconda Repubblica, altre ancora nel secondo decennio degli anni duemila (pensiamo alle donne del renzismo). Ma mai nessuna con ambizioni di comando. Potremmo dire, nessuna con la volontà di assumersi le fatiche implicate da chi sfida il proprio contesto per assumere un ruolo di leadership. Ancora, forse, nessuna con quelle abilità, come la spregiudicatezza, il coraggio, la visione di insieme, necessarie per guidare. Spesso serie e capaci, non prive di narcisismo nei tempi più vicini a noi, pronte a concepire il loro ruolo come servizio alla comunità o orientate a farsi protagoniste della scena pubblica, ma mai ‘cape’. Quasi che si fosse consolidato un reclutamento femminile figlio di processi di adattamento delle donne stesse ad una organizzazione (le varie incarnazioni del post-comunismo con i suoi innesti) reazionaria nella sua natura più profonda. Per cui è meglio farsi comunque cooptare e inserirsi in filiere consolidate che rischiare di rompere schemi prestabiliti. E le donne inclini a rompere non fanno politica, tanto meno a sinistra.

Da anni le sinistre occidentali forniscono esempi di donne leader, anche se in prevalenza nel mondo anglosassone e scandinavo. Nell’Europa centro-meridionale sono emerse maggiormente leadership conservatrici o di destra. Ma non sono mancate leader di sinistra, dalle francesi Martin Aubry e Ségolène Royal alla spagnola Ada Colau, alla verde tedesca Baerbock. Cosa renda, invece, la sinistra italiana così retriva e le politiche italiane di sinistra così pigre non è facile da capire. La condivisione di una più generale arretratezza italiana e la specificità di una origine in una sinistra poco aperta all’individuo e ai suoi diritti forse spiegano qualcosa. Ma non spiegano la resistenza al cambiamento nei decenni. Forse lo choc Meloni produrrà qualche effetto?