Giovedì 25 Aprile 2024

Eutanasia a 17 anni, se questa è una vittoria

"Noa Pothoven ha vinto la sua lunga battaglia": cominciava così l’articolo di un grande giornale nella sua edizione on line di ieri. Noa Pothoven, una ragazza olandese di 17 anni (di-cias-set-te) "ha vinto la sua lunga battaglia". Vinto. È guarita da una lunga malattia? Ha ottenuto un importante riconoscimento? Un successo sportivo? No: Noa Pothoven è morta. Eutanasia.

Noa Pothoven, è bene chiarirlo subito, non aveva alcuna malattia fisica. Non era in coma, né tantomeno in stato vegetativo, non aveva un cancro inguaribile, non aveva mutilazioni. Era una giovane bella e sana. Aveva però un male profondo nell’animo. Era stata violentata a 11 anni e non aveva mai superato quel dolore. Era gravemente depressa: e nessuno pensi che le croci dell’animo siano meno pesanti di quelle del corpo. Anzi.

E però quello che colpisce, quello che viene subito da pensare, quello che viene subito da chiedersi è: ma davvero era impossibile salvarla? Perché la resa? A una ragazza di 17 anni? Diciassette? Certo è stata Noa a chiedere di morire. Quanti depressi non desiderano altro! Ma siamo sicuri che aver esaudito il suo desiderio corrisponda ad aver fatto il suo bene? L’Olanda, certo. Il Paese evoluto. Il Paese dei diritti. Ma che meraviglia vivere in Olanda. Non come l’Italia, dove tanti condizionamenti bigotti avrebbero impedito il lieto fine. Ma sarà proprio così bello vivere in un Paese che non sa neppure tentare di salvare la vita a una ragazza di 17 anni (diciassette)? Che non sa offrire, che non sa neanche provare a offrire una ragione di vita – o almeno una speranza – a una sua cittadina di 17 anni?

Ma la cosa più orribile è un’altra. Perché nessuno vuole giudicare (in una tragedia come questa, poi): né le autorità olandesi, né i medici, né tantomeno – è ovvio – questa povera ragazza. La morte impone sempre silenzio e rispetto; quella per disperazione, ne esige ancor di più. La cosa orribile è un altra: è la menzogna delle parole, è il non chiamare le cose con il proprio nome. Chiamare vittoria la fine di Noa è un inganno diabolico. Peggio ancora: è un’ipocrisia dettata dall’ideologia politicamente corretta.