Venerdì 26 Aprile 2024

Donna premier e destra leader: la fine dei tabù

L'editoriale di Agnese Pini

L'editoriale di Agnese Pini

E dunque partiamo da chi ha vinto: ha vinto Giorgia Meloni, che grazie al formidabile traino di Fratelli d’Italia (di cui cui Meloni è presidente, fondatrice, emblema, anima e corpo) ha trascinato la coalizione di centrodestra al 44%. Una percentuale che garantisce di governare in modo saldo e sicuro, pur senza la maggioranza necessaria per portare a casa in autonomia le riforme costituzionali. Dentro questa vittoria ci sono due fatti destinati a fare la storia. Il primo: una forza di destra, con un radicamento che affonda nel Movimento sociale italiano, diventa il primo partito d’Italia e il primo a guidare la futura coalizione di governo, conquistando un assoluto primato non solo italiano, ma europeo. 

Questo aspetto pone il nostro Paese di fronte a una necessaria, a questo punto doverosa, resa dei conti finale con il proprio passato, mai del tutto rimarginato, mai del tutto consegnato agli archivi pacificati del Novecento. Il secondo fatto storico: una donna si prepara a diventare per la prima volta premier del nostro Paese, rompendo un tabù di genere che non ha precedenti, che richiede attenzione e che reclama soddisfazione collettiva, al di là di come la si pensi, al di là del colore e dell’appartenenza politica di ciascuno di noi. È la fine di un’epoca, il raggiungimento di un traguardo, ed è un importantissimo simbolo di cui questo Paese aveva, ha, bisogno.

Ha vinto Giorgia Meloni, dunque. Parliamo ora di chi ha perso. I partiti usciti sconfitti dalle Politiche del 25 settembre sono due: il Pd, inchiodato a un ben poco lusinghiero 19%, e la Lega, che non arriva al 9% e perde voti soprattutto nel suo bacino d’elezione, il Nord. Ieri, in entrambi gli schieramenti, si attendeva che volassero gli stracci. Matteo Salvini non ha mostrato cedimenti, sebbene i malpancisti in casa Lega siano non pochi e tutt’altro che quieti. Enrico Letta ha invece annunciato il suo sostanziale, previsto e prevedibile, ritiro. Coi risultati ottenuti è pur vero che Letta non aveva alternative, dentro un partito dilaniato da correnti e rivalità interne forse insanabili. Eppure, lasciatemi dire una cosa: il Pd, in quindici anni di vita, ha cambiato ben sette segretari, sostanzialmente uno ogni due anni. Così forse quando i Dem parlano di visione, di costruzione, di linea politica, dovrebbero ricordarsi che rottamare, eleggere, riesumare, affossare i leader come fossero allenatori di calcio non fa bene alla causa. Né del partito, né delle sue speranze future.