Venerdì 26 Aprile 2024

Mediobanca, la lunga partita che porterà al rinnovo del cda

In vista dell’assemblea di ottobre, i rapporti di forza consigliano prudenza e dialogo. Da un lato, il management della Banca, guidato da Alberto Nagel. Dall’altro i due soci forti, la Delfin della famiglia Del Vecchio, e Francesco Gaetano Caltagirone

Alberto Nagel

Alberto Nagel

Milano, 15 maggio 2023 – Di dover scendere a patti, dalle parti di Piazzetta Cuccia ne sono consapevoli tutti. Non certo per un’improvvisa concordia tra gli azionisti del più ambito salotto finanziario italiano, quanto, piuttosto, per necessità. Il dialogo, insomma, appare come una scelta obbligata. Difficile, quindi, che per il rinnovo del consiglio di Mediobanca, previsto a ottobre, possa riproporsi lo scontro andato in scena ad aprile 2022 per Generali, quando Francesco Gaetano Caltagirone provò a contendere la gestione della compagnia assicurativa alla lista presentata dal consiglio di amministrazione del Leone di Trieste con il sostegno di Mediobanca. Per l’imprenditore romano è troppo alto il rischio di subire un altro smacco. E, in vista dell’assemblea di ottobre, i rapporti di forza consigliano prudenza: da un lato, il management della Banca, guidato da Alberto Nagel; dall’altro i due soci forti, la Delfin della famiglia Del Vecchio con poco meno del 20% e, appunto, Caltagirone con il 9,9%, che non hanno rappresentanti in consiglio. E che, proprio per il loro peso specifico, puntano a entrare nella stanza dei bottoni con una pattuglia di consiglieri consistente e, magari, esprimendo il presidente. Del resto, Nagel e i vertici di Mediobanca sanno di non poterli tenere fuori dalla porta ancora a lungo.

Dunque, la parola d’ordine è una: dialogo. Seppure sia ancora presto per avviare delle trattative vere e proprie, non lo è per aprire qualche canale di comunicazione. Non a caso, già la settimana scorsa, lo stesso Nagel ha detto che “lavoriamo con tutti gli azionisti”. Una disponibilità confermata, oltre che dalle parole, dalle reazioni dei protagonisti. Infatti, neppure gli eventi degli ultimi giorni, tutt’altro che marginali, sembrano aver destato particolare apprensione. A cominciare dalla notizia secondo cui Caltagirone detiene il 9,9% di Mediobanca, quasi il doppio del 5% finora noto. Un dato che, ovviamente, dalle parti di Piazzetta Cuccia era già conosciuto. Ma la cui diffusione urbi et orbi qualche sospetto, quantomeno su chi abbia interesse a rendere la notizia pubblica, lo ha alimentato.

D’altronde, come riportano varie ricostruzioni giornalistiche, questa non è stata l’unica strana coincidenza che ha riguardato l’istituto di credito. Negli stessi giorni, infatti, nel decreto del 10 maggio è stata inserita una norma, poi stralciata, che poneva dei limiti alla presentazione di liste da parte dei cda. Una norma che ricalcava quanto chiesto dallo stesso Caltagirone alla Consob durante la battaglia per Generali dell’anno scorso. È su queste basi che, probabilmente in estate, partiranno le trattative. Al centro non ci sarà l’attuale gestione di Mediobanca, che continua a macinare utili, mentre l’istituto si avvia a battere le previsioni del piano industriale che si concluderà ad ottobre. Senza contare che i risultati conseguiti finora, come ha spiegato Nagel, non dipendono solo dai tassi in aumento, che hanno gonfiato i margini (e i fatturati) di tutto il settore bancario, bensì da una strategia che, sfruttando le sinergie tra private banking e investment banking, ha consentito di mantenere una redditività slegata dal costo del denaro. E che, quindi, promette ritorni più stabili, anche quando (e se) la Bce deciderà di tagliare i tassi.

Piuttosto, i prossimi colloqui verteranno su due temi: la governance di Mediobanca e la gestione della partecipazione in Generali (9,77%). Sul primo punto, le ipotesi sono diverse. Nel caso in cui Assogestioni, che riunisce le società di gestione del risparmio italiane, non dovesse presentare la propria lista, mentre Caltagirone e Delfin decidessero di andare ognuno per conto suo, i due soci potrebbero spuntare, al massimo, tre posti sui quindici totali previsti per il cda. Ipotesi remota, invero. Più probabile, sottolinea Manacorda, che nella lista proposta dal cda trovi spazio qualche contropartita per i grandi azionisti, e quindi più di tre consiglieri. Ma il vero nodo è la presidenza. Anche qui Caltagirone e i Del Vecchio vorranno avere voce in capitolo, con esiti che, però, sono ancora avvolti nella nebbia.

Ben più complicata si annuncia invece la partita Generali, dove finora la linea di Mediobanca è stata quella di lasciare piena autonomia al cda della compagnia e all’amministratore delegato, Philippe Donnet. Che, però, appare tutt’altro che in buoni rapporti con Caltagirone, anche lui nell’azionariato del Leone di Trieste con il 6,23%. Anche perché l’imprenditore romano ha lasciato, più per disturbo che per altro, tre consiglieri di minoranza nel cda di Generali. Insomma, per districare la matassa dei futuri equilibri del capitalismo finanziario italiano occorrerà aspettare ancora un po’.

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