Venerdì 26 Aprile 2024

Made in Italy e mercato del lusso: la nuova frontiera è sempre più 'verde'

Materiali e metodi di produzione strizzano l'occhio al metaverso. La classifica e i dati di crescita

Prada group guida la classifica del lusso made in Italy

Prada group guida la classifica del lusso made in Italy

Crudelia De Mon sarebbe fuori moda. Altro che pellicce di dalmata, le nuove frontiere del lusso parlano di scelte di materiali e metodi di produzione sempre più ‘verdi’ ed ecosostenibili, che strizzano l’occhio al metaverso e contestualmente all’economia circolare. E i risultati pagano, visto che il settore è uscito dalla fase più acuta della crisi pandemica con una crescita del 21% registrata nel 2021, superiore dell’8.5% anche ai numeri del 2019.

L’analisi

I numeri sono quelli pubblicati nel ‘Global Powers of Luxury Goods 2022’ di Deloitte, lo studio annuale che passa ai raggi x il comparto planetario della moda e del lusso. La fetta di mercato in questione è decisamente importante, dal momento che sommando gli incassi delle prime 100 aziende del settore, si arriva alla cifra di 305 miliardi di dollari, 53 in più rispetto ai dodici mesi precedenti. Il dato è in forte crescita anche rispetto al 2019, visto che l’aumento in relazione all’anno precedente l’avvento del covid è quantificato in +8.5%. In questo contesto l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano: il nostro Paese è infatti quello maggiormente rappresentato nella lista dei top 100, con 23 aziende presenti, in pratica un quarto del totale.

I criteri

Cosa serve per entrare a far parte del gotha? Intanto un fatturato minimo di 240 milioni di dollari, magari abbinato a significative performance di crescita. E su questo il nostro Paese si è dimostrato decisamente virtuoso, visto che la quasi tutte le società italiane hanno chiuso il 2021 con un aumento delle vendite a doppia cifra.

La classifica

A guidare il gruppo delle icone dello shopping di gran classe c’è Lvmh, Moët Hennessy Louis Vuitton, con un aumento delle vendite del 55,9% e un margine netto di profitto che sfiora il 20%. Completano il podio, in una graduatoria stabile da 5 anni, Kering Sa e Estée Lauder. Sempre secondo le rilevazioni di Deloitte, le prime dieci aziende, da sole, rappresentano il 56% delle vendite totali realizzate dai cento brand in classifica. La parte del leone la fa l’Europa, con la Francia che ruggisce più forte di tutti: i translpini in classifica hanno ‘solo’ otto aziende, quattro delle quali sono però nelle prime dieci, frutto di un conglomerato di realtà che evidentemente è sinonimo di successo.

Il ruolo dell’Italia

Il Made in Italy invece non teme concorrenza in quanto a presenze assolute delle aziende di bandiera. La prima è Prada Group (diciottesima in classifica e che ha scalato cinque posizioni rispetto all’anno precedente) con 3miliardi e 979 milioni di dollari di vendite, cresciute del 38,9%. Seguono Moncler, ventisettesima (in crescita di sei posizioni, con le vendite aumentate del 42% fino a raggiungere i 2 miliardi e 419 milioni di dollari) e Giorgio Armani, che tallona al ventottesimo posto e con una crescita delle vendite del 26,3% per un totale di 2 miliardi e 387 milioni. Seguono Max Mara (al trentunesimo posto), Otb (34), Ermenegildo Zegna (38), Valentino (40), Salvatore Ferragamo (41), Safilo (49), Dolce & Gabbana (50), Tod’s (55) e tutti gli altri fino al gruppo Morellato che chiude al centesimo posto. Guardano soltanto il margine netto di profitto, a fare meglio tra tutte le cento aziende citate da Deloitte è stato il Gruppo Marcolini, arrivato al 33,4%.

Nuovi scenari

Intanto il mondo si evolve e il comparto del lusso non può stare a guardare. Molti cambiamenti, accelerati per forza maggiore dalla pandemia, sono già stati recepiti e altri sono destinati a fare la differenza negli scenari che stanno già cominciando a delinearsi in maniera netta. La riflessione, basata sui dati rilevati, è di Giovanni Faccioli, practice leader di Deloitte Global Fashion & Luxury, che citato da Forbes ha evidenziato la sempre più marcata attenzione verso la sostenibilità in tutte le fasi dell’attività aziendale, improntata verso modelli di economia circolare pensati per ridurre l’impatto ambientale e allo stesso tempo per promuovere innovative e più virtuose pratiche di consumo. E così mentre i nuovi materiali, continuando a curare qualità e design, saranno sempre più improntati alla tutela delle risorse naturali, la realizzazione degli stessi beneficerà sempre più dell’impiego di nuove tecnologie, abbinate alla rivoluzione digitale.