Lunedì 29 Aprile 2024

Lo smart working fa i conti con la fine dell’emergenza

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LA FINE DELLO STATO di emergenza si avvicina e questo comporta un incremento del dibattito sullo smart working. È di questi giorni la notizia di una proposta di legge, approvata dalla Commissione Lavoro della Camera, volta a modernizzare l’istituto rendendolo più simile alle modalità con cui negli ultimi anni è stato utilizzato dalle imprese e percepito dai lavoratori. Alla luce dell’estensione della (probabile) ‘modalità semplificata’ sino al prossimo 30 giugno, dal primo luglio tornerà ad essere necessaria non solo la forma scritta del relativo accordo ma anche, e soprattutto, il consenso del lavoratore. Consenso che non sembra difficile da ottenere considerato che la larga maggioranza dei lavoratori ha apprezzato la flessibilità e la maggiore autonomia nello svolgimento della propria attività. Anche lato imprese si rileva un apprezzamento per lo strumento che permette di avere personale più soddisfatto e un risparmio nei costi di struttura.

L’interesse che si è creato intorno all’istituto è confermato dal fatto che a dicembre è stato oggetto di un protocollo firmato dalle parti sociali, su sollecitazione del ministero del Lavoro, che prevede quale requisito essenziale che gli accordi individuali recepiscano quanto eventualmente definito dagli accordi collettivi sul lavoro agile. Al fine di rendere più fruibile questa modalità di svolgimento della prestazione, è notizia di questi giorni l’approvazione di un emendamento alla legge di conversione del cosiddetto decreto Sostegni ter per cui continuerà ad essere possibile comunicare, in via telematica al ministero del Lavoro, solo i "nominativi dei lavoratori e la data di inizio e cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile". Non sarà quindi necessario che l’accordo sia raccolto e inviato con tutti i pdf degli accordi individuali sottoscritti con i singoli, sebbene rimanga per l’azienda l’obbligo di conservazione. È indubbio che il si esposto contesto sia da accogliere positivamente, sebbene sia altrettanto indubbio che lo "smart working del futuro" non possa essere uguale a quello che si è visto nell’ultimo biennio, con lavoratori pressoché costantemente ed esclusivamente da remoto, poiché in questa ipotesi non di smart working si dovrebbe parlare quanto piuttosto di telelavoro.

La questione non è di pura semantica, considerato che i due istituti prevedono obblighi di natura diversa e la corretta individuazione delle modalità di svolgimento del rapporto incide direttamente su diverse tematiche che muovono dal numero di lavoratori di un’impresa: si pensi alla base di calcolo per l’assunzione di cui alla Legge n. 681999, dalla quale sono esclusi i "lavoratori a domicilio" ma non anche i lavoratori agili; o ancora ai lavoratori che possono essere sospesi in cig, tra i quali ancora una volta non rientrano i telelavoratori e possono invece rientrare i lavoratori agili; o ancora, sotto il profilo amministrativo, le diverse comunicazioni obbligatorie che devono essere effettuate per l’una o per l’altra categoria di lavoratori. Se è quindi lecito attendersi un perdurante utilizzo del lavoro agile nei mesi a venire, è importante che tale utilizzo venga sempre mantenuto nei limiti tipizzati dalla normativa di tempo in tempo vigente, innanzitutto per evitare di stravolgere un istituto che pone comunque la sede dell’impresa al centro della prestazione lavorativa e poi per evitare di esporsi a possibili sanzioni dovute alla confusione tra due modalità di svolgimento della prestazione molto diverse tra loro.

* studio Orrick

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