Realtà dei sogni e inaffidabilità del concreto. Linguaggio come esistenza che rimpalla fra una moltitudine di personaggi di cui, in fondo, ognuno di noi è pieno. Bob Wilson entra nel "prisma delle personalità" di Fernando Pessoa rispettandolo "senza diventarne schiavo". Si incontrano da dopodomani, 2 maggio, alla Pergola di Firenze per Pessoa. Since I’ve been me, uno spettacolo che già emoziona. Perché si tratta di un confronto fra titani: lo scrittore e intellettuale portoghese vissuto fra il 1888 e il 1935, visionario e precursore di vari generi, inventore degli eteronimi coi quali fa parlare se stesso nelle forme più diverse e universali; e il grandissimo e geniale regista, drammaturgo, coreografo, pittore, scultore, videoartista, designer di suono e luci texano, 82 anni e ancora tanta voglia di sperimentare e incantare.
Lo spettacolo, in prima mondiale, è una collaborazione internazionale e sarà recitato in quattro lingue – italiano, portoghese, francese e inglese (coi sovratitoli in italiano) –; cast guidato da Maria de Medeiros che veste da subito i panni iconici di Pessoa (la bombetta, gli occhiali, il doppiopetto) ai quali gli altri protagonisti (Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Menci, Gianfranco Poddighe, Janaina Suaudeau) alla fine si adegueranno. La forza dell’immaginazione poetica di Pessoa, dice Wilson, sta nella sua volontà di scrivere e continuare a farlo contro ogni dubbio e in una lingua dopo l’altra. Il motto dell’artista americano, "Mi alzo e cammino con me stesso", si sposa bene con il titolo dello spettacolo, traducibile in "Pessoa, da quando sono io". In fondo, la straordinaria libertà di immagine che offrono le opere del regista – che siano l’Einstein on the beach realizzato con Philip Glass o l’Adam’s passion con Arvo Pärt – collima con le atmosfere che le opere di Pessoa emanano.
Per dirla con Piero Ceccucci, lo scrittore esprime una "poetica delle sensazioni" che è quella che spinge Bob Wilson a creare "parti di un’unica opera in continua elaborazione" cercando di arrivare a una sintesi, la stessa sintesi che gli studiosi pessoani ricercano nell’arca delle sue opere, nel puzzle che ha lasciato affrontando anche il teatro, come con Primeiro Fausto e O Marinheiro che Pessoa stesso definì "dramma statico": un teatro fatto per essere ascoltato e letto. Quello di Wilson aggiunge spazio, movimento, luce, quelle azioni con cui "prendere le distanze" dall’autore, ma senza snaturarne l’emozione di cui vive anche il regista.
Nella drammaturgia, che rincorre "la voce liberata della poesia", Wilson e Darryl Pinckney hanno costruito un percorso lungo le fasi della scrittura di Pessoa. E secondo l’idea che prima va creato lo spazio scenico e quindi riempito, e che questa "costruzione astratta che ha a che fare con cosa vedo e ascolto" non deve portare a dare risposte, ma "porre delle domande", quelle che anche Pessoa si pone e che fanno riflettere Wilson nella prima battuta: "Non so cosa porterà il domani".
Attorno a ciò si muove circolarmente la parola di Pessoa, da "Non ho fatto nulla se non sognare" a "Ma uno per uno verrà il momento per dire addio a quei sogni e come un agnello dormirò così tranquillo, così completo da quando sono io". Frammenti che Wilson elabora nella sua testa in quel prisma che raccoglie tutte le personalità, tutti gli aspetti dello scrittore per costruirne uno che sia valido ma che dimostri ciò che il regista pensa di lui: "Mi è sempre parso un uomo molto solitario anche nella sua immaginazione, nella maniera proprio in cui la sua immaginazione si muoveva".
I testi sono tratti da alcune delle opere più significative di Pessoa, come il poema Il custode di greggi, una riflessione sulla natura e la religione a firma di Alberto Caeiro, il "maestro bucolico": "Non credo in Dio perché non l’ho mai visto. Se egli volesse che credessi in lui verrebbe senza dubbio a parlarmi ed entrerebbe dalla mia porta". Quindi il Faust e la sua ricerca metafisica. E poi le odi di Ricardo Reis, "l’Orazio che scrive in portoghese"; gli ultimi poemi di Alvaro de Campos che "ha la poesia in sé"; una lettera a Ophelia, l’innamorata nascosta di una vita. E infine Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares che fa viaggiare "verso le terre dell’incognito e del mistero del nostro mondo interiore", come scrive Ceccucci. Ed è questo che ha smosso la curiosità di Wilson nell’architettare – lui che in architettura è laureato – un mondo fisico per "ingabbiare" l’inafferrabile Pessoa, perché "sapere che sarà pessima l’opera che mai si farà" è un conto, ma "peggiore tuttavia sarà quella che non si farà mai". Dunque, "vivere di sogno o per il sogno".