Mercoledì 24 Aprile 2024

Santo Versace: "Gianni un vero genio, facemmo la rivoluzione. Ma io ora sogno l’Oscar"

"Per mio fratello e Donatella sono stato quasi un padre, iniziammo con appena 20 milioni di lire. Le sfilate sono il passato. E con mia moglie Francesca ho scommesso sul cinema d’autore"

Santo Versace con la moglie Francesca De Stefano

Santo Versace con la moglie Francesca De Stefano

Tra pochi giorni Santo Versace compirà 78 anni. Ha appena pubblicato l’autobiografia Fratelli. Una famiglia italiana, in cui ripercorre il successo di un cognome che si è fatto brand grazie alla creatività di Gianni – ucciso nel 1997 da un serial killer a Miami – e al piglio imprenditoriale di Santo. Eppure durante quest’intervista si raccomanda più volte: "Parliamo del futuro". Futuro che ha il nome della moglie, Francesca De Stefano, della loro Fondazione, dell’avventura nel cinema con Minerva Pictures. Ma non c’è futuro senza un grande passato, è evidente.

Versace, l’importanza di un cognome. Che sfida è trasformare il nome di una famiglia del Sud in marchio globale?

"Nel mondo della moda è così, il brand è già nel tuo nome, non devi crearlo. È stato incredibile, ma dipende tutto dalla genialità e dal talento di una persona o di un’impresa".

Il talento geniale era Gianni, ma lo era già vostra madre...

"Mia madre Franca era un grande talento nella sartoria, ma era limitata a Reggio Calabria".

È stata lei a insegnarvi?

"Alt, distinguiamo. A me ha insegnato mio padre: affari, affari, affari. Mentre Gianni, il creativo, si è formato con mia madre. Tutto inizia lì: io ho sempre detto che quando torno a Reggio il corpo che gira per il mondo si ricongiunge con l’anima e il cuore. Io sono reggino, un figlio della Magna Grecia".

Allora è per questo che avete scelto la Medusa per il logo?

"Viene da quell’antichità, dalle radici. D’altra parte Gianni ripeteva che chiunque si incontri con Versace deve restare legato a Versace tutta la vita".

Fratelli molto diversi eppure complementari.

"Gianni volava, io invece mi preoccupavo che non facesse la fine di Icaro...".

Quindi Santo è più di un fratello maggiore?

"Beh, il libro elabora il lutto 25 anni dopo Miami, è una dichiarazione d’amore per Gianni, chiaro. Ma io, per lui e per Donatella, sono stato quasi un padre".

E anche l’uomo dei conti...

"Io ero l’imprenditore (è uscito nel 2018, quando il gruppo passò a Capri Holdings per 2 miliardi di euro, ndr). E lo sono diventato proprio a Milano, capitale dell’imprenditoria, dove andai per creare la Gianni Versace".

Insomma, Gianni tesseva i fili, mentre lei li teneva.

"Gianni creava, io trasformavo le creazioni in qualcosa di solido. Eravamo una mela divisa in due. Un matrimonio perfetto!".

Però anche lei ha fatto scelte drastiche: ha lasciato un lavoro sicuro per seguire Gianni.

"Fu naturale. Prima il lavoro con mio padre, la laurea, poi la banca, l’insegnamento, l’ufficiale di cavalleria, infine lo studio da commercialista: per me la vita è sempre stata una cosa facile. Cambiavo velocemente senza preoccuparmi, perché sapevo che avrei sempre fatto bene. Un ottimista nato".

A Milano avete iniziato davvero con soli 20 milioni di lire?

"Un ottimista guarda sempre avanti. Da mio padre ho imparato che non esistono problemi, ma soluzioni. E quindi allora, nel 1977, bastava davvero poco: c’era il talento di Gianni, galoppavamo, conquistavamo il mondo giorno per giorno".

Ve l’aspettavate così il successo di Versace?

"Gianni è stato rivoluzionario. Ha cambiato la moda, senza di lui è finita un’epoca. Ha creato una donna che non c’era prima, libera ma di gran classe. Basta vedere Lady Diana, una principessa vestita da donna. O Liz Hurley, che ammise che un vestito di Gianni Versace le cambiò la vita rendendola diva. E anche le grandi top model degli anni Novanta, lanciate da Versace, in qualche modo vivono di rendita...".

La morte di Gianni fu un trauma terribile. Come n’è uscito e chi è oggi Santo Versace?

"L’amore guarisce tutte le cicatrici. Se non ci fosse stata mia moglie Francesca, forse non ci sarebbe neanche il libro per Gianni. Lei mi ha fatto tornare quello che ero prima di Miami".

Insieme avete creato la Fondazione Santo Versace.

"Io ho due figli dal primo matrimonio, mentre con Francesca non abbiamo avuto figli. La Fondazione è il nostro figlio, che ci deve proiettare nel futuro. Lavoriamo con tutti i fragili, l’infanzia, i detenuti, le donne sfruttate. Mio padre mi ha insegnato: “Se puoi aiutare gli altri e non lo fai, non vali niente“".

Non fa solo quello. C’è anche il cinema. Vuole restare ancorato all’arte che fa vedere le cose in maniera diversa?

"Con la Minerva Pictures siamo andati al Festival di Venezia e il film che distribuiamo, Saint Omer, ha vinto ben due premi. Ora voglio l’Oscar. Sennò che cosa entri a fare nel cinema?".

A proposito di passioni, segue ancora il basket?

"Certo. A soli 16 anni ero già titolare in serie B con la Viola Reggio Calabria. Poi per qualche anno ne sono stato azionista e feci arrivare ben tre campioni argentini che avrebbero vinto l’oro olimpico ad Atene 2004".

A Reggio Calabria era passato da bambino anche Kobe Bryant... Lo sport è stato d’ispirazione per il suo lavoro?

"Fondamentale. L’individualità al servizio della squadra...".

Tutte esperienze che ora portano a un nuovo inizio.

"Sono del 1944, ma non mi sono mai sentito così giovane. Francesca e io abbiamo due verbi che ci rappresentano: fare e dare".

Se dovesse riassumere Gianni con due parole?

"Beh... l’eterno bambino".

E Santo?

(ride) "Il nato saggio".