Giovedì 25 Aprile 2024

"QUESTI FURIOSI ANNI ’20 DIANO VITA A UN NUOVO EQUILIBRIO"

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IL DELICATO EQUILIBRIO fra persone, aziende e Stati, durato quasi due secoli, si è definitivamente rotto ed ora è arrivato il momento di riscrivere un nuovo contratto sociale. Parte da questo assunto ‘I furiosi anni venti’, il nuovo libro scritto per Feltrinelli da Alec Ross (a destra), l’esperto di politiche tecnologiche che lavorò con Obama e Hillary Clinton, docente alla Business School dell’Università di Bologna. ‘The Raging 2020s’, questo il titolo originale, è una fredda analisi del decennio in corso definito "arrabbiato" e non "ruggente" come quello del XX secolo che culminò in una gravissima crisi. Abbiamo parlato con l’autore via Zoom da Roma dove si trova proprio per promuovere la sua nuova fatica letteraria.

Tra previsioni, speranze e proposte su cosa servirebbe fare, quali sono le vere questioni chiave del decennio appena cominciato?

"Il titolo del libro non è casuale: I ruggenti anni Venti produssero negli States una eccezionale creazione di ricchezza e cultura, ma finirono in modo terribile, con una gravissima crisi finanziaria mondiale. Gli attuali anni Venti, invece, sono cominciati male con una pandemia e tutte le difficoltà che ben conosciamo, ma ci sono i presupposti che possano chiudersi in maniera positiva. Già un secolo fa si era rotto il contratto sociale, quell’insieme di regole scritte e non scritte che regolano i rapporti tra governi, cittadini e aziende. Dopo il tracollo del 1929, gli Stati Uniti con Roosevelt riscrissero quel patto e credo che oggi sia necessario fare qualcosa di simile".

Ma oggi di chi è la responsabilità?

"Le parti in causa sono sostanzialmente tre: i governi, le grandi aziende ed i cittadini. Affinché le cose funzionino ci deve essere una sorta di equilibrio di poteri tra queste tre entità. Oggi ci sono grandi aziende come Amazon, Apple, Microsoft, Google, Huawei o Alibaba che sono potenti quanto uno Stato, sono dei veri e propri governi. Bezos o Zuckerberg hanno ormai più potere di molti capi di Stato. Negli Stati Uniti, ad esempio, tutto o quasi è in mano a queste grandi aziende, e gli Stati e i cittadini subiscono le loro decisioni. In Italia, invece, è il governo a detenere il potere maggiore e le aziende subiscono le sue scelte politiche. Poi ci sono i cittadini, che spesso sono la categoria con meno potere in assoluto".

Cosa si può fare per trovare questo equilibrio?

"Nel libro spiego la differenza tra il capitalismo degli shareholder, quello in cui tutto ruota attorno agli azionisti e che rappresenta il modello dominante attuale e il capitalismo degli stakeholder, cioè quello in cui conta anche chi o cosa è direttamente o indirettamente coinvolto in un progetto o in un’azienda. Penso, ad esempio, ai lavoratori, ai clienti, all’ambiente e l’ecosistema in cui l’azienda stessa è inserita. Questo secondo modello, in Italia è molto ben rappresentato perché ci sono aziende familiari come Marchesini o Cucinelli, che rispondono al territorio e ai dipendenti e tengono in alta considerazione non solo gli azionisti ma l’intero sistema che ruota attorno all’azienda".

Tra i settori in crescita, citati nel libro, c’è l’intelligenza artificiale. Dove arriverà?

"Ormai le nostre vite sono già influenzate pesantemente da questa tecnologia. Io voglio un mondo in cui le macchine possano lavorare per noi. Crescerà il ruolo della AI è questo sarà sicuramente un bene, ne beneficerà l’economia stessa e tutti noi. Ma l’importante è che vengano stabiliti dei confini ben precisi che rispettino e riflettano i nostri valori, dobbiamo avere delle regole perché altrimenti gli algoritmi possono essere davvero pericolosi. In un mondo in cui i matrimoni si combinano grazie ad un algoritmo e la musica che ascoltiamo ci viene suggerita da un sofisticato software è più che mai importante preservare il nostro umanesimo".

Un altro delicato tema che si inserisce in questo scenario è quello della lotta al cambiamento climatico…

"Sì, decisamente. Nessun Paese o segmento sociale ormai può ignorare il problema o pensare di risolverlo da solo. I nodi su ambiente, economia, migrazioni e salute richiedono una vera e propria interconnessione tra paesi e settori. Ma la necessità di risolvere questo problema sarà anche, per molti, una grande opportunità da cogliere. L’Europa, ad esempio che non è stata grande protagonista nella rivoluzione digitale potrebbe invece diventarlo nella lotta al cambiamento climatico. Ci sono molti soldi in ballo da potersi accaparrare in questo settore".

Torniamo a quel nuovo contratto sociale da stipulare di cui si parlava all’inizio: quanto tempo abbiamo a disposizione prima che sia troppo tardi?

"La storia ci ha insegnato che dopo le tragedie come una guerra mondiale o una grande epidemia, ci sono sempre stati momenti di transizione. Io credo che ora ci troviamo proprio in uno di questi momenti che normalmente durano circa un decennio. Quindi non è un’emergenza, non abbiamo un mese o un anno per poter approfittare di questa situazione e fare dei cambiamenti che ci permettano di evolvere e crescere, ma non abbiamo neanche un secolo. Riscrivere il nostro contratto sociale è comunque un’opzione reale, concreta che non possiamo e non dobbiamo lasciarci sfuggire. Dobbiamo approfittare di questo importante momento in cui l’innovazione tecnologica è in grande sviluppo, per innovare anche la nostra politica".