Mercoledì 24 Aprile 2024

L'inflazione nel 2022 si è mangiata 92 miliardi di euro dai conti correnti

Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, la corsa dei prezzi all'8% è una patrimoniale che finora è costata 18 volte in più del prelievo forzoso varato nel '92 dal governo Amato

Tasse

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Tutti, o quasi, si ricordano il famigerato prelievo sui conti correnti deciso dal governo Amato nell’estate del 1992. Nonostante le ripetute smentite da parte di numerosi esponenti dell’esecutivo, la notte di venerdì 10 luglio i depositi in banca degli italiani vennero tassati dello 0,6%. La misura, presa per fronteggiare le pressioni dei mercati internazionali sulla Lira e per risanare i conti pubblici, fu pari a 5.250 miliardi di Lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Importo che, rivalutato al 2022, vale 5 miliardi di euro. Ma se il prelievo forzoso del ‘92 è rimasto nella memoria degli italiani, non altrettanto si può dire degli effetti dell’inflazione. Effetti che, in realtà, rischiano di essere ancora peggiori. Di quanto? Circa 18 volte. Secondo l’ufficio studi della Cgia di Mestre, infatti, la corsa dei prezzi degli ultimi mesi rappresenta una vera e propria patrimoniale sui conti correnti. Una patrimoniale che fa impallidire quella varata dal governo Amato: 5 miliardi di euro contro ben 92,1 miliardi di euro. A tanto ammonta la perdita di potere d’acquisto registrata dai depositi bancari degli italiani. I calcoli sono piuttosto semplici: i conti correnti non danno interessi (il tasso medio degli ultimi dodici mesi è pari a zero) mentre i prezzi sono cresciuti dell’8% a giugno di quest’anno.

Applicando il tasso di inflazione ai depositi bancari, che al 31 dicembre 2021 erano pari a 1.152 miliardi di euro, ecco i 92,1 miliardi di patrimoniale occulta. Ovviamente, si tratta di una media e, al suo interno, si annidano forti differenza territoriali. Il costo maggiore è stato pagato dai risparmiatori delle regioni più ricche, con la Lombardia a guidare la classifica: 19,4 miliardi andati in fumo. Seguono poi il Lazio (9,3 miliardi), il Veneto (8,3) e l’Emilia Romagna (8,12). Passando all’analisi delle macro aree, invece, emerge qualche sorpresa. Mentre nel Nord Ovest il conto è stato di 29,8 miliardi di euro, nel Sud Italia ha raggiunto quota 22,8, un dato superiore ai 20,7 miliardi di euro del Nord Est e ai 18,8 miliardi del Centro. Si tratta di numeri preoccupanti che potrebbero persino peggiorare. Per la Cgia, il pericolo, infatti, è che l’economia italiana scivoli verso la “stagflazione”, una situazione caratterizzata da alta inflazione e bassa crescita con annesso aumento della disoccupazione. Stagflazione che, secondo la Cgia, “in tempi relativamente brevi potrebbe verificarsi anche in Italia”. “Con le difficoltà legate alla pandemia, agli effetti della guerra in Ucraina, all’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici rischiamo, nel medio periodo, di veder scivolare la crescita economica verso lo zero, con una inflazione che, invece, potrebbe raggiungere a breve le due cifre”. Come scongiurare il peggio? Per gli economisti della confederazione degli artigiani e delle piccole imprese, la ricetta si compone di quattro elementi. Innanzitutto, la Bce dovrebbe proseguire sulla strada dell’aumento dei tassi di interesse. Una misura che, anche se potrebbe mettere in difficoltà l’Italia, è quanto mai necessaria per frenare la crescita dei prezzi. In secondo luogo, occorre tagliare la spesa corrente (quella usata per pagare stipendi dei dipendenti pubblici, trasferimenti ecc..) destinando le risorse così recuperate a una decisa riduzione delle imposte. L’ultimo intervento, non più derogabile, è infine l’introduzione di un tetto al prezzo del gas e del carburante. Sono queste due voci, infatti, ad aver influito di più sulla recente fiammata inflazionistica.