Mercoledì 24 Aprile 2024

La guerra pesa sugli affari per il 19% delle imprese

Migration

SONO le imprese esportatrici le più colpite dagli effetti del conflitto russo-ucraino. Per il 19% delle aziende che vendono all’estero, infatti, la guerra sta avendo un impatto elevato sul proprio business, contro il 14% di quelle che si rivolgono esclusivamente al mercato interno. Così oggi già un’impresa su cinque registra riduzioni delle vendite oltre confine. A generare difficoltà è per quasi il 90% delle imprese esportatrici l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, un problema sentito in ugual misura anche dalle realtà imprenditoriali che non esportano. Mentre il 54% rileva problemi di approvvigionamento delle materie prime (contro il 48% delle altre) e il 19% di energia (contro il 16%). Per sostenere la propria competitività, quindi, il 21% delle imprese esportatrici si è già attivato per utilizzare le risorse del Pnrr (contro l’11%) e il 18% lo farà (contro il 12%). E’ quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi Tagliacarne (nella foto in basso, il direttore generale Gaetano Fausto Esposito) per il Rapporto Export 2022 di Sace, elaborata su un campione di 3.000 imprese manifatturiere con un numero di addetti tra 5 e 499.

Tra le aziende esportatrici è soprattutto il settore alimentare a mostrare fatica a fare quadrare i conti con l’aumento dei prezzi di materie prime ed energia sul proprio business, che colpisce nove imprese su dieci. Ma anche il 90% delle imprese dei comparti della moda e dell’arredamento dichiara di subire particolarmente l’aumento dei prezzi dell’energia. Sono le grandi imprese, tra 250 e i 499 addetti, che dichiarano maggiori difficoltà per gli effetti legati all’aumento dei prezzi dell’energia (89% contro 84% delle piccole), anche probabilmente a causa dei loro livelli fisiologicamente più elevati di consumo. Inoltre, mentre l’approvvigionamento energetico preoccupa un’impresa alimentare su cinque, quello delle materie prime è un problema rilevante in particolare per la filiera dell’auto (55%). Ma in quest’ultimo caso le grandi imprese sembrano assorbire meglio l’impatto, potendo verosimilmente contare su una rete di subfornitura diversificata a livello globale.