Venerdì 26 Aprile 2024

Il petrolio non cede e punta ai 100 dollari al barile

Le quotazioni del greggio ormai sfiorano i 90 dollari

Le quotazioni del greggio ormai sfiorano i 90 dollari

IL MONDO tenta di emanciparsi dalla dittatura del petrolio con la mobilità elettrica e le rinnovabili, ma ancora non ci siamo. Dopo anni di ribassi, la ripresa economica post-pandemica attizza le quotazioni del barile, che ormai sfiorano i 90 dollari e puntano decisi verso il traguardo dei 100 dollari. Per Goldman Sachs ci si potrebbe arrivare nel terzo trimestre, mentre JP Morgan ritiene possibili impennate fino a 125 dollari al barile nel corso di quest’anno e addirittura 150 dollari il prossimo. Ci sono diverse cause che concorrono alla tempesta perfetta. Da un lato le tensioni geopolitiche restano elevate, in particolare in Europa, dove i prezzi del gas hanno toccato livelli stratosferici a causa dell’elevata domanda, dello stoccaggio carente e delle scarse forniture dalla Russia, i timori per la possibile invasione di Mosca dell’Ucraina aggravano la preoccupazione sui mercati energetici.

A sostenere i prezzi del petrolio, poi ci sono i fondamentali di mercato. La domanda petrolifera non ha sofferto come si prevedeva con la variante Omicron del Covid. E la produzione di greggio, nonostante i prezzi elevati, fatica ad espandersi così rapidamente. Negli Usa gli operatori dello shale oil si sono rimessi in moto, ma sono ancora lontani dai risultati di un tempo. E nell’Opec+, il cartello dei Paesi dell’Opec più la Russia, ci sono difficoltà sempre più evidenti: la maggior parte dei Paesi membri non riesce ad aprire i rubinetti secondo i piani, tanto che a dicembre la coalizione ha estratto ben 650mila barili al giorno in meno rispetto alle quote concordate, stima S&P Global Platts. L’Arabia Saudita e gli Emirati arabi sono forse gli unici in grado di incrementare davvero la produzione. Ma Riad per ora non sembra orientata a fughe in solitaria. "Abbiamo un accordo nell’Opec+, devo rispettare i miei colleghi e amici", ha dichiarato il principe Abdulaziz bin Salman, ministro saudita dell’Energia. Ad alleviare un po’ le carenze intanto c’è il ripristino della produzione perduta nelle scorse settimane in Libia (che è esentata dalle quote Opec+): la compagnia Noc ha comunicato proprio lunedì 14 di essere tornata ad estrarre 1,2 milioni di barili al giorno, dopo averne persi fino a mezzo milione.

La notizia non sgombra l’orizzonte dai rischi, data l’alta instabilità che permane nel Paese, ma forse ha tolto un po’ di fiato alla corsa del Brent, che anche a causa della mancanza di greggio libico – molto sentita nel bacino mediterraneo – si è apprezzato di oltre il 10% da inizio anno (e del 27% dai minimi di dicembre). Nel 2022, secondo l’Oil Market Report dell’International Energy Agency, la domanda globale di petrolio sorpasserà i livelli registrati prima della pandemia. Nel suo rapporto di gennaio, la Iea prevede che nel mondo si consumeranno in media 99,7 milioni di barili al giorno nel 2022, circa 200.000 in più rispetto al 2019. La crescita dipende dal fatto che le misure prese dai governi per contenere le nuove ondate di coronavirus sono meno severe rispetto a quelle del 2020 e del 2021, per cui il loro impatto sulle attività economiche e sui trasporti è meno pesante. La ripresa della produzione, però, rischia di esagerare: la Iea prevede che a fine anno ci sarà un eccesso di offerta rispetto alla domanda, per via degli aumenti di produzione di diversi Paesi tra cui Stati Uniti, Canada, Brasile, Arabia Saudita, Russia. In particolare, la fornitura petrolifera globale ha il potenziale di mettere 6,2 milioni di barili in più sul mercato nel 2022, grazie soprattutto al traino saudita, dopo i tagli alla produzione che si erano imposti durante la fase più acuta della pandemia, quando la domanda era crollata, così come i prezzi del barile. A dicembre 2021, ricorda la Iea, il gruppo Opec+ complessivamente ha prodotto 790.000 barili giornalieri in meno di quanto aveva pianificato. La corsa alla produzione porterà anche gli Stati Uniti a battere i livelli pre-pandemia: l’Energy Information Administration prevede che a fine 2022 la produzione americana toccherà il record assoluto di 12,4 milioni di barili al giorno, più dei 12,3 milioni di barili al giorno prodotti nel 2019. Non è detto, però, che questa vertiginosa ripresa degli investimenti nell’estrazione di greggio faccia bene alle major petrolifere mondiali.

Per molti analisti siamo già al picco dei consumi di petrolio, che probabilmente raggiungeranno un plateau a 100 milioni di barili al giorno e poi cominceranno a scendere, con l’avvento dell’auto elettrica e delle fonti rinnovabili. Ad oggi, le major stanno usando i guadagni del petrolio per prepararsi alla transizione energetica e costruire un portafoglio "verde" di tecnologie rinnovabili, che dovrebbero diventare il loro core business del futuro. Riprendere la folle corsa degli investimenti nel petrolio non è il modo migliore per prepararsi a questa transizione, tanto che per gli attivisti in difesa del clima e anche per alcuni petrolieri, compreso l’ex capo di Bp John Browne, la major dovrebbero essere "più audaci nel separare le attività a basse emissioni di carbonio dal loro business dei combustibili fossili". Un’esortazione lungimirante, che per ora le compagnie petrolifere stanno snobbando.

Elena Comelli