Mercoledì 1 Maggio 2024

"La politica deve sostenere le imprese contro il greenwashing"

UNO TSUNAMI sta irrompendo nel panorama internazionale della standardizzazione del reporting di sostenibilità. Spinta dalle iniziative dell’Unione europea questa rivoluzione...

"La politica deve sostenere le imprese contro il greenwashing"

"La politica deve sostenere le imprese contro il greenwashing"

UNO TSUNAMI sta irrompendo nel panorama internazionale della standardizzazione del reporting di sostenibilità. Spinta dalle iniziative dell’Unione europea questa rivoluzione epocale del settore sta assumendo contorni sempre più netti. L’obbligo di una maggiore trasparenza e responsabilità dell’impatto delle imprese sulle persone e l’ambiente impone di innovare i sistemi produttivi e i modelli di governance, con implicazioni profonde sulle scelte strategiche delle imprese, sui loro investimenti e anche sulle politiche economiche nazionali. In tale scenario le nuove norme europee sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese e sulla lotta al greenwashing rappresentano una sfida e una grande opportunità per il sistema economico italiano. Ma la politica deve sostenere le imprese nella trasformazione. Questo l’appello lanciato dall’ASviS che, nel recente Policy brief ‘La rendicontazione di sostenibilità nel contesto europeo e italiano: una rivoluzione in atto’ – elaborato dal Gruppo di lavoro Finanza grazie al supporto della Fondazione Organismo Italiano di Business Reporting (OIBR) – avanza nove proposte, rivolte alle istituzioni italiane, per assicurare un’applicazione efficace delle Direttive.

In base alla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), approvata nell’ambito del Green Deal Europeo, un numero sempre maggiore di grandi aziende, nonché di Pmi quotate – si stima che la normativa precedente (‘Non Financial Reporting Directive – NFRD) coinvolgesse solo 11mila imprese in Europa e che quella attuale comprenda almeno 49mila imprese di cui 7mila in Italia – dovrà dotarsi di uno strumento di rendicontazione di sostenibilità. Attualmente la CSRD si compone di un primo set di 12 standard in attesa che l’EFRAG prosegua il lavoro con l’ulteriore emanazione di standard specifici di settore. Per consentire alle aziende di concentrarsi sull’attuazione della prima serie di ESRS, in seguito al recente accordo raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento europeo l’adozione degli standard settoriali europei di reporting di sostenibilità previsti dalla CSRD è stata rinviata al 30 giugno 2026. Ciò concederà inoltre più tempo per sviluppare standard di sostenibilità specifici per settore nonché standard per specifiche aziende di paesi terzi.

Per la CSRD è prevista un’applicazione graduale: dal 1 gennaio 2024 (primo report nel 2025) per le grandi imprese con qualifica di ente di interesse pubblico con più di 500 dipendenti in media nell’anno; dal 1 gennaio 2025 per le grandi imprese non quotate; dal 1 gennaio 2026, con possibile proroga al 2028, per le piccole e medie imprese (eccetto le micro imprese) quotate; dal 1 gennaio 2028 per le imprese non europee.

Centrale è il tema della tempistica di applicazione, per questo la prima raccomandazione dell’ASviS è quella di "accelerare l’adozione delle direttive europee sulla rendicontazione di sostenibilità". Dopo l’entrata in vigore, il 5 gennaio 2023, della CSRD si è aperta la questione del suo recepimento entro 18 mesi negli ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Ue. Il recepimento deve avvenire entro il 6 luglio 2024 e i parlamenti e i governi nazionali devono decidere se iniziare l’applicazione della stessa già dall’esercizio 2024 o se ritardarla all’esercizio 2025. "Il nostro Paese, in occasione del recepimento della precedente direttiva, fu uno degli ultimi a procedere in tal senso e al momento – si legge nel report – non ci sono segnali che il governo italiano voglia procedere con rapidità, al contrario di quanto stanno facendo altri Paesi".

Attualmente la bozza di testo per il recepimento della direttiva è al vaglio delle istituzioni italiane, in particolare del ministero dell’Economia e delle Finanze, ma – rileva il report – nonostante a fine gennaio sia stata annunciata consultazione pubblica "non è chiaro quale saranno i passi successivi per l’ultimazione della procedura e quale possa essere il contributo che a tale processo potranno fornire gli attori del sistema economico e della società civile". Dal policy brief emerge anche la necessità di supportare finanziariamente le imprese, e specialmente le PMI, in questo processo di transizione. Tra le proposte tese a evitare un’eccessiva onerosità, figura l’istituzione di crediti d’imposta calibrati sui costi relativi alla trasformazione verso la sostenibilità e la relativa rendicontazione, sul modello dei crediti d’imposta concessi in relazione ai progetti di ‘Formazione 4.0’.

Si è invece, per il momento, arenato il cammino della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD) a causa del dietrofront di Germania, Italia, Austria, Finlandia. Uno stop arrivato lo scorso 9 febbraio per rispondere alla richiesta di rinviare il voto lanciata dalle associazioni confindustriali nazionali e da quella continentale BusinessEurope, preoccupate dall’aumento dei costi e dalla definizione troppo ampia della catena del valore prevista dalla normativa. La direttiva sul dovere di diligenza, il cosiddetto ‘Supply chain act’, definisce le norme in materia di obblighi delle grandi società relativamente ai gravi impatti negativi effettivi e potenziali sull’ambiente e sui diritti umani per la loro catena di attività, che comprende i partner commerciali a monte dell’impresa e, in parte, le attività a valle, quali la distribuzione o il riciclaggio. Nonostante l’ostruzionismo messo in atto dal nostro Paese, tali norme – spiega il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini (nella foto in basso) – sono nell’interesse dell’Italia in quanto riducono "il rischio di concorrenza sleale di operatori esteri e consentono di difendere il Made in Italy, specialmente rispetto a quelle multinazionali che utilizzano subfornitori internazionali per abbassare i prezzi, a spese dell’ambiente e dei lavoratori".

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