Mercoledì 24 Aprile 2024

Dispersione scolastica, l'Italia resta fra i paesi peggiori in Europa

Nel 2021 i giovani italiani che hanno lasciato precocemente gli studi sono stati 517mila, il 12,7%

Non ci sono soltanto i Neet, gli under 29 che non studiano e non lavorano, a costituire un sintomo della complicata situazione giovanile italiana. Più a monte, infatti, il problema è rappresentato dalla dispersione scolastica. Da noi si chiama «abbandono precoce dagli studi», ma a livello internazionale ha un nome più complicato: early leavers from education (Elet).

Banchi vuoti
Banchi vuoti

Si tratta di tutti quei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni che si fermano alla licenza media, decidendo di non frequentare, o di smettere anzitempo, le superiori (o altri corsi di formazione). Nel 2021 i giovani italiani che hanno lasciato precocemente gli studi sono stati 517mila, il 12,7%. In particolare, gli uomini registrano un tasso di abbandono del 14,8 per cento e le donne del 10,5 per cento. Si tratta di dati che ci mettono tra gli ultimi posti in Europa, dove il numero di Elet è pari al 9,7%.

Non è un caso che uno degli obiettivi chiave del nuovo quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’educazione sia la riduzione degli Elet al di sotto della soglia del 9% entro il 2030. A mettere in fila tutti i numeri sulla difficile situazione per i giovani italiani è un articolo de Lavoce.info.

A livello nazionale, non finiscono le superiori il 16,6% dei ragazzi del Sud e delle Isole, il 10,7% del Nord e il 9,8% del Centro. Infine, i giovani con cittadinanza italiana registrano un tasso di abbandono inferiore a quello degli stranieri: rispettivamente, 10,9% e 32,5%.

A rendere tutto più preoccupante c’è anche il fatto che gli Elet italiani hanno molta più voglia di lavorare rispetto ai loro colleghi europei. Stando all’indicatore elaborato dall’Istat, la «quota di Elet che vorrebbero lavorare», indipendentemente dalla ricerca attiva di un impiego e dalla immediata disponibilità, è pari al 46,5% contro una media Ue del 34%.

Tuttavia le possibilità sono scarse: solo un ragazzo che rientra nella categoria Elet su tre riesce a trovare un lavoro, percentuale che arriva a sfiorare il 50% per i diplomati. Un sintomo, quest’ultimo, della differenza che fa sul mercato del lavoro avere un livello di istruzione anche leggermente superiore. Per quanto riguarda i Neet, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, nonostante un leggero calo che si è registrato negli ultimi anni, la quota di ragazzi che rientrano in questa definizione rimane molto più alta che nel resto d’Europa, 23,1% contro il 13,1%.

Interessante notare come la percentuale di Neet aumenti al diminuire del titolo di studio: tra chi ha la licenza media sono il 63,9%, tra i diplomati il 42,4% e tra i laureati il 32,4%. Infine, per monitorare la transizione dalla scuola al mondo del lavoro l’Istat prende in considerazione i tassi di occupazione, disoccupazione e mancata partecipazione di chi si è diplomato o laureato da minimo uno a massimo tre anni all’interno della fascia d’età 20–34 anni. Ebbene, sulla base dei dati raccolti dall’Istituto di statistica emerge che, tra chi si trova nel periodo di transizione, i diplomati che lavorano sono il 49,9% mentre i laureati il 67,5%. Un’altra conferma dell’importanza dell’istruzione.

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