
Valente: cinque milioni di poveri in Italia
Roma, 9 giugno 2025 – Se il 10 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà assoluta non dobbiamo stupirci di niente. Nemmeno del cadavere di una neonata a villa Pamphili, del corpo di sua madre, coperto da un sacco nero. Una vita adulta alla deriva, una piccola vita che ha avuto come nursery, secondo il quadro che si sta delineando, il sentiero di un parco. Homeless, clochard, senzatetto. Tante sono le parole per definire una condizione umana disperata, qualcuna persino dolce. Ma ogni storia è unica, come dovrebbero esserlo i tentativi di risolverla finchè c’è tempo. Paolo Valente, vicedirettore della Caritas italiana, ammette che storie estreme come questa non si vorrebbero mai raccontare: "Sparigliano i numeri, le statistiche. E un po’ dovrebbero farci vergognare".
Chi deve vergognarsi?
"Io per primo. Io che posso essere colto in fallo nel mio condominio perché so troppo poco di chi ci abita. Che non controllo se il mio vicino sta bene o se invece sta sprofondando nelle disperazione perché non ha un soldo, è malato, è solo. Giriamo la testa di fronte a un materasso buttato per terra ma non facciamo nemmeno lo sforzo di suonare un campanello. Non sempre, non tutti. Non tutto è buio. Ci sono case che diventano piccole comunità dove si pratica una solidarietà informale, però è l’eccezione".
Alla Caritas raccogliete i numeri del degrado intorno a noi. Negli ultimi 15 anni sono peggiorati.
"I dati sono dell’Istat, scoraggianti. In Italia su quasi 59 milioni di abitanti 5 milioni e 700 mila persone vivono in condizioni di povertà assoluta, cioè un’ampia fascia che per qualche motivo non riesce a vivere in maniera dignitosa. Ma a noi interessa il fatto che dietro i numeri ci sono le persone, con un percorso unico che in casi limite le ha portate a dormire su una panchina o sotto un portico. Non sono poveri per lo stesso motivo e non usciranno da quella situazione allo stesso modo".
La vostra risposta non può limitarsi a un pasto caldo.
"Dare da mangiare a chi ha fame resta la priorità. Ma l’aiuto deve andare oltre. Le mense sono il luogo dell’incontro, lì si si semina una possibilità di accoglienza. Purtroppo esiste una forma di povertà che non viene misurata dalla dichiarazione dei redditi. La solitudine intrappola gli anziani e purtroppo sempre più giovani. I centri di ascolto sul territorio non si chiamano così per caso. Qualcuno ci mette la faccia e ha il coraggio di cercare un salvagente, qualcuno accetta l’invito dei volontari per strada. Però la situazione più frequente, siamo sempre lì, è la vergogna".
Che cosa è cambiato negli ultimi 15 anni?
"La povertà è diventata multidimensionale. Il problema inizialmente economico si fa relazionale e poi sanitario, parlo anche di salute mentale. Si apre una breccia e tutto precipita, si ingarbuglia. A quel punto non esiste un’unica soluzione ma tante vie da percorrere con molta pazienza. Sono cambiate anche le famiglie, che in teoria sarebbero un argine fenomenale alla solitudine ma quando non funzionano diventano la causa del disagio. C’è questo paradosso. Invochiamo lo sviluppo demografico ma purtroppo se andiamo a riguardare i dati Istat vediamo che la povertà è correlata al numero di figli, più se ne fanno e peggio è. Un drammatico controsenso. Stavolta per strada è morta una bambina. Io da genitore so che non si possono perdere colpi nemmeno con un tetto sulla testa: se avessi problemi a gestire me stesso tutto ricadrebbe sui miei ragazzi".