Venerdì 26 Aprile 2024

Vestivamo alla maniera dei manga

Viviana

Ponchia

Dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei, chi vuoi mandare a quel paese. Il giovane stilista fiorentino Alberto Santarnecchi ha recentemente proposto capi di abbigliamento ispirati ai personaggi del celebre fumetto manga One Piece di Eiichiro Oda, ossessione di tutte le madri con figli alla scuola dell’obbligo. Non è il primo e non sarà l’ultimo a trasformare cosa ci mettiamo addosso in una lavagna. E noi in manifesti viventi. I leghisti si arrabbiarono parecchio quando spuntò la t-shirt verde con Matteo Salvini che si scattava un selfie su un piedistallo. Indossava il diadema a 7 raggi della statua della libertà e il titolo era "The statue of idiocy" (il ricavato delle vendite per contrappasso è andato alla Ong Sea Watch).

Le magliette sono la via più breve per entrare nella storia e spesso non si limitano al basso profilo dei grandi marchi come Gucci, Dior e Givenchy che educatamente proclamano "Young and powerful" o "You make me crazy". Le grandi catene hanno osato "The revolution is female" (H&M), "Yes, I’m feminist" (Mango) o "Future Regina" (Zara). Poi c’è chi è andato oltre. Vivienne Westwood, cattiva ragazza della cultura underground, ha cominciato negli anni ’70 con la scritta più scurrile e lunga di tutte, praticamente un romanzo: mordimi, frustami e lasciamo stare come continuava, di fatto la signora non si è più fermata e a 76 anni è andata in passerella sulle spalle di un modello che proclamava "Mother fucker". La t-shirt griffata Vetements ha sfilato a Parigi con la scritta "You fuckin’ asshole" ed è stato un successo: venduta a mille dollari, è piaciuta anche a Chiara Ferragni in versione nera oversize.

Non si contano le variazioni del dito medio alzato, da Johnny Cash ai Simpson, prova evidente di tanta rabbia repressa. Nel ’97 lo psichiatra napoletano Claudio Ciaravolo ha pensato che un brand vale l’altro, sempre nomi vuoti sono. E ha istigato il marchio "Vaffanculo".