
Università
Roma, 23 ottobre 2015 - «BARONI» sotto schiaffo. La nuova università, quella Buona di Renzi&Co, non andrà troppo per il sottile nei confronti dei docenti che dovranno assicurare, tra cattedra e laboratorio, almeno 120 ore di didattica l’anno. E la valutazione degli atenei passerà anche da loro, gli insegnanti, e dalla capacità di innovare la didattica. Saranno giudicati per quanto fanno e anche per il tasso di occupazione dei giovani usciti con il famoso «pezzo di carta», a un anno, due o tre di distanza. Renzi l’aveva promesso: il fitto calendario delle riforme non lascerà fuori l’università. «Che – aveva detto il premier parlando a Ca’ Foscari – non si può governare con gli stessi criteri con cui si fa un appalto per una Asl o un Comune». «Bisogna scommettere – aveva aggiunto – su criteri dove il modello universitario possa essere Boston, le università inglesi o alcune d’Oriente». Idee e ipotesi che stanno per diventare realtà e che oggi e domani saranno al centro di un vertice a Udine. Tutto dedicato agli atenei del futuro.
AL MOMENTO il valore legale del titolo di studio non è argomento all’ordine del giorno ma la bozza della rivoluzione universitaria tiene la barra dritta sugli «indicatori premiali», ovvero il metro secondo il quale lo Stato sgancerà soldi per ogni singolo ateneo. Funzioni: prendi finanziamenti. Stenti: ti vengono ridotti. In quegli «indicatori» avranno un peso specifico la qualità della didattica, l’innovazione, i servizi per gli studenti. In più, per dare un’iniezione di ottimismo, il governo ha deciso di inserire nella Legge di Stabilità i fondi per l’assunzione di 1.000 ricercatori ai quali si aggiungeranno i 500 cervelli – italiani o stranieri, senza distinzioni – che il premier vuole sistemare in cattedra per dare lustro e consistenza all’offerta. Probabilmente a «chiamata diretta».
PER arrivare al nuovo impianto, però, occorreranno alcuni aggiustamenti legislativi. Se per i 1.000 la Legge di Stabilità impegna i soldi e altrettanto fa per i 500 – con criteri normativi ancora da scrivere – il problema vero sarà quello di sradicare le università e i loro docenti dal recinto della pubblica amministrazione. Le strade possibili sono due: la trasformazione degli atenei in Fondazioni, oppure un intervento normativo che svincoli il settore dai lacciuoli amministrativi che non ne prevedano espressamente il coinvolgimento. E, ancora, diritto allo studio e nuove norme sugli aiuti agli studenti (borse di studio); semplificazioni della professione con l’introduzione di una figura unica di ricercatore (ora gli inquadramenti sono 5) con un contratto a tutele crescenti in atto con il Jobs Act.