Mercoledì 24 Aprile 2024

Un milione di dimissioni Per cambiare

Paolo

Giacomin

Oltre un milione di persone ha dato le dimissioni dal proprio posto di lavoro nel primo semestre dell’anno, il 22% in più dei primi sei mesi dell’anno scorso, il28% in più del 2019. Dati – forniti dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps – che ritualmente triturano il buon senso con la melassa romantica dell’addio al lavoro per campare d’aria. Una bufala. Nei primi sei mesi dell’anno – scrive l’Inps – si tende al "completo recupero delle dimissioni mancate del 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria". Escluso l’effetto recupero, perciò, e guardando ai primi semestri degli anni precedenti, l’unico boom è quello del luogo comune della big resignation: le dimissioni – secondo le comunicazioni periodiche Inps – furono 732.995 nel primo semestre 2018, 812.822 nel 2019, 770.776 nel 2020 e 817.270 nel 2021. Una tendenza, non un boom. Analizzata con cura dall’Adapt in un rapporto del giugno scorso firmato dal ministro Renato Brunetta e dal professor Michele Tiraboschi, che aiuta a fare chiarezza e a sottolineare l’impatto di queste dinamiche su imprese e politiche del lavoro: i numeri delle dimissioni fotografano nella maggioranza dei casi il passaggio a un nuovo posto di lavoro. Cancellata la retorica dell’addio al lavoro, svaniscono di conseguenza molti luoghi comuni. come dire che non si trovano giovani perché non hanno voglia di lavorare. Emergono, invece, le "strutturali difficoltà di matching tra domanda e offerta nel nostro Paese". Riemergono determinate "esigenze dei lavoratori, quali la possibilità di gestire più flessibilmente il proprio orario e luogo di lavoro", aspetti già latenti prima della pandemia, Si tratta, in sostanza, della ricerca di un posto migliore. Fossimo in ambito finanziario, si parlerebbe di fly to quality: in volo verso la qualità della propria esistenza. Umano, no?