Venerdì 26 Aprile 2024

Il sociologo De Kerckhove: "Troppo Covid sui media, si alimenta il panico"

"In Francia e Inghilterra hanno capito da tempo che non si può parlare solo della pandemia

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Il Covid ha infettato anche l’informazione italiana. Per il sociologo Derrick de Kerckhove, l’allievo prediletto del grande massmediologo americano Marshall McLuhan, la deriva dei media nostrani, che seguono ossessivamente qualsiasi argomento collegato al virus, può essere pericolosa.

Covid, bollettino del 19 ottobre

Professore, il Covid domina da mesi le trasmissioni televisive e le prime pagine dei giornali, sopratutto in Italia. Questa overdose di informazioni non rischia di aumentare il panico inutilmente?

"Per una parte della popolazione sicuramente. Si chiama infodemia: è il caos generato da un numero strabordante di articoli e approfondimenti. Alla fine non si capisce più di che cosa ci si possa fidare. Le cifre sono credibili? La cura funziona? Il virus è pericoloso? Tutta questa incertezza finisce per aumentare la paura. Stiamo attraversando una vera e propria crisi epistemologica: non si capisce più cosa abbia senso e cosa no. E poi c’è un altro aspetto".

Quale?

"Bisogna tenere in considerazione quella che gli anglofoni chiamano ’Coronavirus fatigue’, ovvero la stanchezza dovuta alle restrizioni per contenere l’epidemia. In Francia, ad esempio, questo sentimento è molto diffuso: tante persone protestano contro le misure prese dal governo. Cosa che non succede nel vostro Paese".

Perché le tv e i giornali italiani sono ossessionati dal Covid?

"C’è una diversa mentalità. I francesi sono più critici e meno tolleranti. Gli italiani sono più docili nei confronti del potere. In pochi da voi hanno protestato per la possibilità di essere continuamente tracciati da una app sviluppata per contenere i contagi. In Francia, nonostante il virus abbia colpito più duramente, le manifestazioni sono state vibranti. Inoltre il Coronavirus è una malattia che si nasconde: ci mette anche 15 giorni per manifestarsi. L’incertezza aumenta l’effetto di paura. Gli italiani sono molto sensibili a questo aspetto. Inoltre siete tra i popoli più espansivi e il morbo, che si trasmette stando vicino ad altre persone infette, pesa direttamente sulle vostre abitudini. È una minaccia alla vita quotidiana e i media ne parlano".

Negli altri Paesi, il Covid viene spesso relegato con un richiamo in prima pagina o, nel caso dei tabloid inglesi, non appare nemmeno in copertina. Come mai?

"Non è per una mancanza di interesse. In Francia hanno sentito prima di altri che non si poteva parlare solo di Coronavirus. In Inghilterra, invece, sono furiosi per il motivo opposto: ritengono che Johnson non abbai gestito bene la pandemia, ma il mondo va comunque avanti".

In America invece i grandi giornali si occupano molto spesso del virus.

"È una questione politica. I quotidiani più prestigiosi sono tutti contro Trump, mentre i giornali popolari sostengono il presidente e ignorano volutamente l’argomento. Inoltre i grandi quotidiani hanno una reputazione da mantenere e non possono snobbare il tema".

Con quasi tutti i i giornalisti impegnati a occuparsi del Coronavirus, non si rischia che altri argomenti importanti per la collettività, come mafia o terrorismo, vengano trascurati?

"Il Coronavirus si vende, la criminalità organizzata, a meno che non ci sia un evento eclatante, molto meno".

Quasi tutti i quotidiani, dopo un’impennata di vendite quando è esplosa l’epidemia, sono tornati a perdere copie. Non è un segnale che il lettore forse vuole altro?

"Può darsi, anche se c’è da dire che il lockdown ha impresso una forte accelerata al processo di digitalizzazione. Molte persone che non potevano o non volevano più uscire per comprare il giornale, soprattutto tra gli anziani, hanno imparato a usare il web".