Venerdì 26 Aprile 2024

"Che dolcezza papà Palmiro e mamma Nilde. Servizi intercettavano le mie versioni di greco"

Parla Marisa Malagoli Togliatti, figlia dell’ex segretario del Pci e della Iotti. La ragazza fu adottata da una famiglia modenese di braccianti e andò a Roma

Marisa Malagoli Togliatti, 77 anni, accompagnava spesso Palmiro Togliatti e Nilde Iotti

Marisa Malagoli Togliatti, 77 anni, accompagnava spesso Palmiro Togliatti e Nilde Iotti

Il gatto soriano Filippo sulle gambe di Togliatti, il molosso napoletano Briccone che gli scodinzola intorno. Togliatti che corregge i temi di scuola tra un articolo per l’Unità e un incontro con i dirigenti di Botteghe Oscure. Nilde Iotti che se la ride nell’immaginare i servizi segreti di mezzo mondo che intercettano, impazzendo, le traduzioni di Senofonte dal greco della figlia. O che declama le poesie di Pascoli e Carducci. La vita familiare, le abitudini domestiche, l’intimità dei gesti e delle parole, le vacanze in montagna e il cinema, ma anche la politica, l’Italia delle lotte operaie e studentesche, l’ultimo viaggio del Migliore in Urss, l’elezione della Iotti al vertice di Montecitorio: uno spaccato di storia del Paese vissuto e osservato in una casa molto speciale, quella del leader indiscusso del più grande Partito comunista dell’Occidente, Palmiro Togliatti, e della sua altrettanto autorevole compagna, Nilde Iotti, la prima donna a diventare Presidente della Camera. A riviverlo e a raccontarlo per flash back, sul filo di una memoria che attraversa tutta la seconda metà del Novecento fino agli inizi del nuovo Millennio, è Marisa Malagoli Togliatti: 77 anni, figlia adottiva della coppia centrale e decisiva del Comunismo italiano, psichiatra e professoressa di primo piano a Medicina e Chirurgia e Psicologia alla Sapienza. 

Professoressa, riavvolgiamo il film della vita e partiamo dalla sua storia: come era la sua famiglia 'modenese'? 

"Era una famiglia contadina di Nonantola, nel Modenese: i miei genitori, mezzadri, hanno avuto 11 figli, le prime due sorelle non le ho mai conosciute perché morirono per la pertosse (non esistevano i vaccini) nel 1920. Nel 1921 nacque mio fratello Giuseppe e a seguire, fino al 1943, gli altri figli. Lavoravano tutti per coltivare il podere: grano, mais, vite, orto, galline, maiali, mucche. Ricordo i bucati con la cenere, la preparazione del pane in casa, le gite in bicicletta, la nascita dei vitelli… I fratelli più grandi, Giuseppe e Arturo, braccianti, cercavano lavoro in città e si erano impegnati già nelle elezioni politiche del 1948: li vedevo issare la bandiera con il volto di Garibaldi sull’albero più alto vicino a casa". 

E fu proprio con l’assassinio di suo fratello Arturo che la sua vita cambiò. Aveva sei anni: che memoria conserva della tragedia alle Fonderie Riunite di Modena? 

"La fabbrica più importante di Modena, le Fonderie, di proprietà della famiglia Orsi, doveva “chiudere”. Il 9 gennaio del ’50 ci fu una manifestazione indetta dalla Cgil contro la serrata, alla quale parteciparono in molti, non solo gli operai licenziati. Il ministro dell’Interno di allora (Scelba) aveva fatto convergere a Modena ingenti forze di polizia con l’ordine di sparare come era stato fatto nei mesi precedenti a Melissa e Montescaglioso contro i contadini che occupavano le terre: in Calabria (29 ottobre 1949) e Basilicata (dicembre 1949). E così anche a Modena la polizia sparò e insieme con mio fratello Arturo vennero uccisi altri 5 manifestanti. Ricordo di essere andata con mia madre Adolfina alla camera ardente a salutare per l’ultima volta Arturo".  

Come entrarono in scena Togliatti e la Iotti? 

"La città reagì con una grande partecipazione ai funerali dei 6 morti: erano presenti Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti, Gina Borellini, medaglia d’oro della Resistenza, Nilde Iotti. In quel contesto Togliatti scrisse un biglietto a Nilde Iotti (“E se aiutassimo una di queste famiglie?”), proponendole di sostenere una delle famiglie colpite dai lutti e la scelta cadde su quella più numerosa e in difficoltà economiche". 

I suoi genitori come accolsero l’'offerta'? 

"A Nonantola, a parlare con i miei genitori, vennero Nilde e la Borellini. Furono i miei fratelli e in particolare le mie sorelle maggiori (Iride e Silvia) a insistere con i miei genitori perché io potessi andare a Roma a studiare: avevano pianto quando avevano dovuto smettere di andare a scuola in quinta elementare. Ricordiamo che la scuola fino alla terza media divenne obbligatoria di fatto solo dal 1962/1963, con la riforma della scuola media. E solo nel 2007 l’obbligo scolastico è stato portato a 16 anni. L’aspirazione allo studio era diffusa nel proletariato: ricordo che il padre di Nilde Iotti le diceva sempre: “Studia, loro sanno”. E così, con Nilde e mio padre Antonio partii per Roma in treno all’inizio di aprile del ‘50". 

Che cosa significò venire a Roma a vivere con Togliatti e Nilde Iotti? Quali sono i suoi primi ricordi? 

"L’appartamento, un immobile di proprietà del Pci, era in largo Arbe, nel quartiere Montesacro. Innanzitutto al mio arrivo a Roma, assecondando la mia curiosità e i miei interessi nell’esplorare l’ambiente circostante, trovai tante novità: la luce elettrica (nella  casa colonica di Nonantola si usavano i lumi a petrolio), il bagno con l’acqua corrente, un letto tutto mio, la cucina con il gas, la radio. Cercavo di scoprire se colui che parlava dalla radio si nascondesse dietro o dentro il grande apparecchio. Negli anni successivi io vivevo la mia vita familiare seguendo i miei desideri e interessi e quanto mi veniva proposto". 

Li chiamava zii: perché?

"Li chiamavo zio e zia, come da loro proposto per rispetto verso i miei genitori: la dizione era ben comprensibile per una bambina di sei anni perché, tra l’altro, mio padre Antonio era nato nello stesso anno in cui era nato Palmiro Togliatti (1893). Si costituì di fatto un’ampia “famiglia allargata”: le mie sorelle e i miei fratelli più giovani li chiamavano zio e zia anche loro, mia sorella Renata, di soli tre anni maggiore, è venuta alcune volte in vacanza con me. Nel 1998 furono Iride e Renata ad aiutarmi nell’assistenza a Nilde già gravemente malata. Io andavo, a mia volta, a Modena per eventi familiari rilevanti, come il matrimonio di Silvia, di Guerrino, di Mario, di Renato, di Renata. Tutti gli anni  a giugno, quando finiva la scuola, andavo in campagna con i miei fratelli che mi hanno insegnato ad andare in bicicletta". 

Era bravissima a scuola. I suoi genitori adottivi ci tenevano allo studio? 

"L’interesse per lo studio era condiviso sia con gli zii sia con le mie sorelle e fratelli: non avevo difficoltà ad apprendere ed ero molto motivata. Facevo i compiti dal lato di un grande tavolo dello studio dove Togliatti, sedendo dall’altra parte, scriveva i suoi articoli per l’Unità o preparava insieme a Marcella Ferrara la rivista Rinascita. Ho conservato i quaderni con le correzioni di Togliatti sui temi che scrivevo. Nilde e Palmiro si divertivano molto per il fatto che io facevo lunghe telefonate con i miei compagni di scuola per tradurre dal greco Senofonte oppure Omero: sapevano che le telefonate erano intercettate dai servizi segreti di allora che sospettavano che quella lingua “sconosciuta” contenesse messaggi in codice". 

Togliatti, il grande capo del Pci, che torna a casa e corregge i suoi temi è un cammeo da incorniciare. 

"Pensi che da bambina sono riuscita anche a imporre un bel gattino soriano in famiglia, il mitico Filippo che, appena portato a casa, si arrampicò sui pantaloni dello zio e così vennero vinte le resistenze di fronte a quel piccolo e simpatico batuffolo che crebbe molto bene. Mi ricordo che su Paese Sera vi era quasi tutti i giorni una “striscia” con le avventure del gatto Filippo in quanto un giornalista era venuto a conoscenza del micio di casa Togliatti. Alla  fine degli anni ’50 abbiamo avuto come regalo un grosso cane (Briccone), un  molosso napoletano che morì nel 1965, il giorno in cui cominciò il congresso del Pci poco dopo la morte di Togliatti". 

Il gatto, il cane di casa: scene di una ordinaria normalità familiare. Quali erano le passioni private di Togliatti e Nilde Iotti?

"Palmiro ascoltava musica classica dopo cena, faceva le parole crociate (soprattutto quelle a schema libero della Settimana Enigmistica). Nilde sapeva a memoria le poesie di Pascoli, Carducci e Petrarca. Era appassionata di storia e di città d’arte, ma anche una ottima cuoca. Andavamo molto al cinema: Nilde e Palmiro vollero rivedere una seconda volta “La carica dei 101”. E stavamo vedendo “Il Gattopardo” al Barberini quando entrò Giacomino (Giacomo Barbaglia, partigiano con Moscatelli) per dire che Togliatti era atteso a Botteghe Oscure per festeggiare il grande successo elettorale del 1963. Togliatti andò, ma dopo aver visto tutto il film che gli era molto piaciuto. E anche il teatro piaceva a entrambi. Sono andata a 7 anni al Teatro San Carlo di Napoli: cantava la Tebaldi nella Traviata". 

L’altra grande passione era la montagna. 

"Le vacanze in montagna d’estate erano un periodo di vita familiare molto simpatico. Nilde e Togliatti adoravano la montagna: Cogne, Cervinia, Gressoney, Champoluc, Courmayeur, oppure Ceresole Reale, Chiareggio, Alagna, Macugnaga. Ricordo, per esempio, anche episodi divertenti. Eravamo in gita noi tre con alcuni miei giovani amici e il mitico Giacomino che accompagnava Togliatti come autista nelle  vacanze sui monti. Scendevamo dal rifugio Sella (sotto il Gran Paradiso e la Grivola) dove eravamo saliti il giorno prima e dove avevamo dormito (a Cogne, nel 1963) e per superare alcune chiazze di neve lo zio e la zia imitarono noi giovani utilizzando le giacche a vento per scivolare sulla neve: uno slittino improvvisato. Ci divertimmo molto tutti quanti nonostante gli evidenti rischi connessi all’uso di questi mezzi impropri e improvvisati di discesa". 

Una coppia ironica, anche divertente. A dispetto di un’immagine pubblica  austera, anche troppo austera. 

"Togliatti era il segretario del più grande Partito comunista del mondo occidentale: aveva enormi responsabilità e, dunque, la sua vita politica era rigorosa al massimo. Ma nel privato, in famiglia, sia lui sia Nilde erano molto divertenti. Si rideva, si scherzava, c’era un clima allegro, Togliatti faceva spesso battute su Nilde, la prendeva in giro. Con me erano molto presenti". 

Si parlava di politica a casa? Del partito? Come erano gli anni tra i Cinquanta e i Sessanta vissuti con gli occhi di una ragazzina che ascoltava i discorsi di due figure tanto immerse nella politica di quella stagione? 

"Non si parlava di politica, tantomeno a tavola, ma vi era una costante attenzione ai problemi sociali, alle lotte dei lavoratori. La mia storia personale, d’altra parte, era stata segnata dalla tragica morte di Arturo, caduto per difendere il posto di lavoro. E così la mia attenzione fu attratta, nel 1953, dalle battaglie contro la cosiddetta “legge truffa”: mi incuriosivano le vignette che vedevo sui giornali, gli slogan contro i “papponi”. Ricordo un altro periodo di tensione sociale e politica molto elevato. Nella primavera del 1960 era stato nominato un governo monocolore Dc votato dai neofascisti con Tambroni capo del governo. Il Msi aveva indetto un congresso a Genova e le forze antifasciste  protestarono a tutti i livelli ricordando che Genova nel 1945 era stata liberata dai partigiani. Rammento lo sciopero generale indetto dalle tre confederazioni sindacali il 30 giugno, i  giovani dimostranti con le magliette a strisce, gli scontri violenti a piazza De Ferrari il 2 luglio 1960. Il congresso del Msi fu annullato, ma Fernando Tambroni, molto influenzato dai neofascisti, continuava con una politica basata sulla forza attraverso la repressione: contro i braccianti a San Ferdinando di Puglia e poi il 5 luglio a Licata (Agrigento). Il 7 morirono a Reggio Emilia 5 operai, colpiti dalla polizia, l’8 luglio, durante un altro sciopero generale a Catania, venne ucciso Salvatore Novembre, e ci furono anche 4 morti a Palermo. Un’escalation di violenze che indusse tre ministri della sinistra DC a dimettersi e il 19 luglio del 1960 cadde anche Tambroni". 

E lei partecipò direttamente alla mobilitazione contro il governo Tambroni? 

"A luglio avevo da poco compiuto i 17 anni: venni denunciata insieme con una mia amica più giovane perché facevamo propaganda per lo sciopero generale indetto dalla Cgil, dopo che i fratelli D’Inzeo, carabinieri a cavallo, avevano “caricato” Pietro Ingrao e coloro che avevano partecipato alla commemorazione di Porta San Paolo. Subii un processo con interrogatorio e visita presso il carcere minorile Aristide Gabelli che era situato vicino a Porta Portese". 

Un impegno politico giovanile che derivava anche dall’aria che si respirava in casa. I suoi genitori come la presero? 

"Ricordo che quando entrai a casa, trovai un Togliatti divertito: “Ecco il nostro avanzo di galera...”". 

Arriviamo al ’64: partiste per le vacanze in Urss, ma Togliatti non tornò più. Morì in Crimea. Come andò quel tragico viaggio?

"Era l’agosto del ’64. Diversamente dagli anni precedenti non andammo in montagna ma in Urss perché Togliatti era molto preoccupato delle relazioni interne al Pcus e ai rapporti tra Urss e Cina. Partimmo il 9 agosto, ma a Mosca non c’era, come previsto, Krusciov e in attesa che tornasse ci fu proposto di andare a Yalta, in Crimea dove fummo ospitatati nelle villa dello Zar. Togliatti, infastidito dai ritardi dell’incontro con Krusciov, aveva scritto, con il suo inchiostro verde, un promemoria relativo alle questioni che voleva discutere con lui. Lo voleva consegnare al funzionario del Pcus che ci accompagnava (Enrico Smirnov) per farlo tradurre. Ma, poiché nei mesi di settembre e ottobre del 1962 io avevo frequentato, in attesa dell’inizio delle lezioni di medicina, una scuola privata di dattilografia, Togliatti affidò a me e a Nilde la trascrizione del suo promemoria. Mi ricordo che fu complicato trovare una macchina per scrivere senza caratteri in alfabeto cirillico: si era perso tempo e quindi il nostro lavoro era urgente". 

Finché il 13 agosto… 

"Il 13 agosto Togliatti doveva andare al campo dei pionieri di Artek sul Mar Nero, ma io e Nilde non lo accompagnammo perché impegnate a dattiloscrivere il memoriale. Mentre stavamo terminando il memoriale - Nilde dettava e io battevo sulla tastiera - arrivò un funzionario e ci informò del  grave malore di Togliatti. Purtroppo Togliatti, oltre all’attentato del 14 luglio del 1948, aveva avuto ad agosto del 1950 un incidente automobilistico con emorragia meningea bilaterale causata dal trauma cranico. Il Primo maggio del 1956, assistendo a una grande manifestazione a Trieste, un ulteriore trauma circolatorio a livello cerebrale, causato da un “colpo di sole". 

Come fu il rientro? Rimaneste da sole, lei e Nilde Iotti. 

"Nilde entrò in crisi. I primi due anni non furono facili. Ci furono ripercussioni fisiche e psicologiche: non riconoscevo più quella donna di ferro che non si spezzava di fronte a niente. Fu in quel periodo che il nostro rapporto si trasformò: non eravamo più solo madre e figlia ma due amiche che si alleavano per uscire dal periodo più duro della loro vita. Anzi, dopo la morte di Togliatti, i Malagoli sono stati quasi anche la sua unica famiglia di riferimento". 

Cominciò comunque un’altra stagione di impegno civile di Nilde Iotti (le battaglie per il divorzio, l’aborto, l’emancipazione delle donne nel lavoro e nella famiglia): fino all’elezione alla Presidenza della Camera. Come la visse, come la viveste? 

"Il 20  giugno del 1979 ero in tribuna di Montecitorio con i miei figli di 9 e 8 anni che erano da un lato orgogliosi, ma anche perplessi e “preoccupati” di fronte agli aspetti “ufficiali” legati al cerimoniale e alla sicurezza (Moro era stato rapito e ucciso nel 1978). La nonna, che era riuscita ad occuparsi di loro nei primi anni di vita, si trasferì a vivere da sola a Montecitorio e, quando si poteva, la andavamo a trovare il sabato e la domenica.  In occasione dei brevi periodi di vacanze estive, per ritrovare un po’ di intimità  familiare siamo andati in Grecia: all’isola di Kos e di Rodi o in una piccola casa vicino a Orbetello. Nel 1992, andammo a trovare mia figlia Alessandra a Siviglia dove faceva la hostess nel padiglione dell’Italia all’Expo: noleggiammo un’automobile  e visitammo quella parte della Spagna da turisti molto interessati". 

Con la fine della Prima Repubblica finì anche il lungo mandato di Presidente della Camera: gli anni Novanta, però, non sono quelli dell’abbandono della politica. Dal suo scranno a Montecitorio, Nilde Iotti eserciterà sempre più un ruolo di guida morale. 

"Nilde Iotti di fatto non si ritirò mai dalla vita politica attiva. Fu eletta al Parlamento anche nelle legislature successive al 1992: era presente alle manifestazioni politiche, sociali e culturali e manteneva un contatto costante  con le persone che la eleggevano, ma soprattutto partecipava attivamente alla vita parlamentare. Ricordo che una sera era già tornata a casa e ricevette una telefonata dall’onorevole Mussi, perché era necessario che tornasse di corsa alla Camera in quanto era in corso una votazione per la fiducia al governo Prodi: non perse un minuto e mi chiese che io la accompagnassi in auto perché non voleva disturbare l’autista che era appena andato a casa. Se non ricordo male furono solo due i voti con cui fu superato il quorum e Prodi ottenne la fiducia. Questo episodio fu ricordato dall’onorevole Soro quando ai primi di novembre del 1999 l’Assemblea di Montecitorio discusse la lettera di dimissioni da deputato che Nilde scrisse pochi giorni prima di morire (morì alle 22 del 3 dicembre del 1999), non ritenendo corretto continuare a occupare un posto in Parlamento, considerando che ormai da molti mesi la malattia le impediva di presenziare ai lavori parlamentari".