Venerdì 26 Aprile 2024

Strage dei misteri La Turchia incolpa i curdi e rifiuta la solidarietà Usa Ma ora Erdogan è più forte

Arrestata una donna siriana, che confessa l’appartenenza al Pkk. Tensione con Washington: "Gli americani sostengono i terroristi"

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di Marta

Ottaviani

A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte si ha ragione. In Turchia è quasi una necessità, soprattutto quando c’è di mezzo il terrorismo. L’attentatrice che due giorni fa a Istanbul ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di oltre 80 ha un nome e un cognome. Si chiama Ahlam Albashir, ha la cittadinanza siriana e ieri mattina ha confessato la sua appartenenza al Pkk, il partito dei Lavoratori del Kurdistan, organizzazione separatista, considerata terrorista da Turchia, Europa e Stati Uniti. Questa la versione ufficiale, dopo la cattura lampo da parte delle forze dell’ordine.

Il Pkk, dal canto suo, ha categoricamente smentito la paternità dell’attacco e, per la cronaca, va ricordato che, il più delle volte, è solito rivendicare le azioni che compie. Considerando quanto questo attentato presti il fianco al presidente Erdogan e il fatto che siano stati assegnati ben 10 magistrati a un fatto di sangue sicuramente drammatico, ma non il più sanguinoso del Paese, fa pensare che l’atto terroristico fosse in qualche modo atteso e non solo a livello di intelligence. In Turchia a giugno si vota. Il Capo di Stato punta alla terza rielezione consecutiva. La situazione economica è drammatica e il leader di Ankara non ha il tempo né per raddrizzarla, né per passare all’incasso per la mediazione fra russi e ucraini sul grano. Il confitto è destinato a durare, per andare a chiedere premi è ancora troppo presto. C’era bisogno di qualcosa per rafforzare il suo consenso e poche cose riescono a compattare il popolo turco come la cosiddetta ‘questione curda’.

In secondo luogo, dopo quanto successo domenica, è facile che la Turchia si senta autorizzata a compiere la quinta operazione militare nel Nord della Siria. L’attentatrice veniva da Afrin, che fa parte della zona di influenza creata da Ankara a spese dei curdi siriani. Media filogovernativi hanno ipotizzato che l’attacco sia stato una risposta a raid che i turchi hanno fatto con i loro micidiali droni nelle scorse settimane. Adesso c’è il casus belli perfetto per un’azione più incisiva. L’attentato di domenica, poi, dà la possibilità a Erdogan di fare pressione sulla comunità internazionale. Non per nulla, da Bali, dove si appresta a partecipare al G20, il presidente ha attaccato non solo il Pkk, ma anche gli Stati Uniti, accusati da anni di finanziare l’organizzazione. Tradotto, significa nuove tensioni all’interno della Nato, non solo verso Washington, ma anche quei Paesi che, secondo la Turchia, non hanno ancora fatto abbastanza per combattere il terrorismo curdo, in primis la Spagna e la Svezia, nuovo membro del patto di Bruxelles, di cui Ankara può ancora bloccare l’ingresso. Il problema è che la Mezzaluna ricopre un ruolo di primo piano nella mediazione della guerra in Ucraina. Ieri, il quotidiano russo Kommersant, ha rivelato che nel Paese c’è stato un incontro fra la delegazione russa e americana. Finché si dà a Erdogan tutta questa importanza, poi si subiscono i suoi ricatti.